Diario su Cristo. Esegesi di Destro e Pesce
3. Esegesi di Destro e Pesce
Affermano Adriana Destro e Mauro Pesce (qui in sintesi): bisogna distinguere il messaggio e l’operato di Gesù non solo dall’interpretazione che ne diedero i suoi seguaci, ma anche da quella che ne diedero le autorità giudaiche e romane. Che queste ultime abbiano percepito Gesù come un pericolo per l’ordine sociale e politico, e ne abbiano (entrambe) ritenuto opportuna la morte per questo motivo, e che il messaggio di Gesù avesse un contenuto politico, sono aspetti che non implicano affatto che il suo intento fosse politico, in particolare rivoluzionario.
La predicazione gesuana, orientata a una radicale trasformazione della società del tempo in vista dell’imminente avvento del regno, fu percepita dalle autorità come pericolosa e come potenzialmente rivoluzionaria, sebbene Gesù non avesse esercitato direttamente un’azione politica o rivoluzionaria, ritenendo egli che l’imminente irruzione del regno si doveva esclusivamente a Dio.1
Quindi Gesù sarebbe stato un mistico (o un profeta) che credeva, come un apocalittico (io aggiungo “allucinato”), che l’unica possibilità di creare a livello mondiale un regno democratico (di pace, giustizia, libertà…) solo Dio avrebbe potuto realizzarla. Quindi Gesù era un inetto sul piano politico o comunque uno disinteressato ai metodi della politica eversiva. E chi lo accusava (Pilato e Caifa in primis) di lui non avevano capito proprio nulla. L’hanno ammazzato per un malinteso, cioè perché lo ritenevano un individuo pericoloso sul piano istituzionale, quando invece non lo era. Voleva riformare il giudaismo soltanto spiritualmente, non rivoluzionarlo politicamente. E per riformarlo spiritualmente bisognava avere un respiro universale, che non riguardasse solo Israele.
Questo regno mondiale di giustizia e libertà non si sarebbe realizzato proprio perché Gesù fu improvvisamente ucciso. Tuttavia all’inizio i suoi discepoli pensavano che Gesù sarebbe ritornato in tempi brevi. Ma questa convinzione era fallace, in quanto Gesù non parlò mai di una sua seconda venuta. Quando poi i discepoli si convinsero che non ci sarebbe stata alcuna parusia in tempi brevi, cominciarono a dire che la salvezza stava unicamente nel perdono dei peccati che si ottiene credendo nella resurrezione di Gesù. La sua stessa morte venne interpretata come voluta dalla prescienza divina e la parusia rinviata alla fine dei tempi.
I due esegeti, infine, essendo nettamente filo-ebraici, assegnano interamente ai Romani la decisione finale di giustiziare Gesù (solo alcuni settori delle autorità giudaiche erano ostili a Gesù), e naturalmente accusano gli evangelisti d’essere filo-romani, avendo loro attribuito tutta la responsabilità ai Giudei. A tale proposito negano che Gesù sia stato seppellito da Giuseppe d’Arimatea, o comunque affermano che se davvero l’ha fatto lui, non l’ha fatto perché era un seguace occulto di Gesù, ma su mandato del Sinedrio. E nessuno ha mai saputo dove sia stato sepolto.
Cosa c’è di vero in questa tesi? Per me quasi nulla. I due esegeti si arrampicano sugli specchi. Vogliono togliere al Cristo qualunque politicità (col che in pratica non si capirebbe la sua differenza dal Battista), e scagionare le autorità giudaiche (complessivamente intese). Parlano di “dio” come se fosse un’entità esistente e poi dicono di non essere esegeti “confessionali”.
Che i vangeli siano antisemitici non ci piove. Le comunità sottese alla loro narrazione cercavano un compromesso politico con l’impero romano, e per poterlo fare dovevano convincere le autorità che coi Giudei sovversivi (in guerra contro Roma dal 66 al 135) non avevano nulla a che fare. Cosa che però non convincerà affatto le autorità romane, tanto che le persecuzioni andranno avanti sino a Costantino. Al massimo le autorità si saranno convinte che i cristiani non ambivano a un proprio territorio geografico in cui esercitare un potere politico-istituzionale. Ma questo non era sufficiente per non considerarli pericolosi, in quanto di fatto i cristiani, pur dicendo che “pregavano” per l’imperatore, si rifiutavano di riconoscergli qualunque caratteristica divina, non partecipavano ai culti pagani (di cui l’imperatore era “pontefice massimo”), non militavano nelle legioni (almeno non all’inizio) ecc. Insomma non apparivano affidabili. Sostanzialmente volevano un regime di separazione tra Chiesa e Stato (impensabile per i Romani, abituati com’erano a strumentalizzare la religione per fini politici). Tale separazione tra Dio e Cesare l’avranno solo con Costantino, anche se fino a un certo punto, poiché nel Concilio di Nicea (325), che lui volle presiedere, si condannò ufficialmente (per la prima volta) l’arianesimo, ponendo le basi di un confessionismo statale, che infatti l’imperatore Teodosio mise in atto dopo l’Editto di Tessalonica (380) e il Concilio di Costantinopoli (381), con cui si condannò definitivamente l’arianesimo e varie altre eresie, iniziando un processo di smantellamento (o di revisione) dei testi non allineati.
3.1. Mauro Pesce sulla Sindone
Il testo cui si fa riferimento è un PDF trovato nel sito di Academia.edu: “Il lenzuolo del cadavere di Gesù nei più antichi testi cristiani”.
“Nel Vangelo di Marco il cadavere di Gesù viene avvolto in un lenzuolo (sindôn) da Giuseppe d’Arimatea. Ma quando Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome vanno al sepolcro vedono solo ‘un giovane’, non sembra vedano nella tomba qualcos’altro, tanto meno un lenzuolo. Successivamente il Vangelo di Marco non parla più della tomba. Quindi, secondo questo vangelo, nessuno è andato nella tomba a recuperare il lenzuolo in cui era stato avvolto il cadavere di Gesù per conservarlo”.
Questo quanto dice Mauro Pesce a proposito del vangelo marciano. Sostanzialmente non ha capito che il cristianesimo si basa proprio sulla sindone, e che però non poteva dirlo, poiché quel lenzuolo non “dimostra” nulla. La sindone si limita soltanto a mostrare una stranezza. Si poteva far nascere una nuova religione sulla base di una stranezza? No, la religione ha bisogno di certezze in cui credere per fede (cieca). Quindi è preferibile credere in un “giovane” (angelicato) che annuncia alle donne (incredule e timorose) che Gesù è risorto, piuttosto che credere in un lenzuolo in cui la sagoma presente si è formata in maniera inspiegabile.
Passiamo ora al Vangelo di Luca: qui le donne vedono “due uomini… in vesti sfolgoranti”. “Non sembrano proprio vedere panni o lenzuola. È Pietro che, accorso al sepolcro, non vede i due giovani, ma dei panni (ta othonia). Si noti bene: non un lenzuolo, sindôn, ma – al plurale – panni o lenzuola (othonia). (Spesso othonia viene tradotto con la parola ‘bende’, ma questa traduzione è contestabile dal punto di vista lessicale. Più che di bende si tratta di una stoffa piuttosto grande, che potremmo chiamare ‘panno’ o ‘lenzuolo’). Pietro sembra non avere intenzione di toccare alcunché. Si guarda bene dal toccare le lenzuola o prenderle con sé per conservarle. È strano che l’autore del Vangelo di Luca dapprima dica che Gesù è stato avvolto in una sindôn, lenzuolo, e poi dica che Pietro vede nella tomba non una sindôn (sindôn in greco è un sostantivo femminile) ma degli othonia. Il significato del termine negli Atti degli apostoli (10,11; 11,5) appare chiaro: un othon è un panno che, se preso per i suoi quattro angoli, può contenere molti oggetti al suo interno. E quindi potrebbe in sostanza significare lenzuolo, panno abbastanza grande. Gli Atti degli apostoli ai versetti 10,11 e 11,5 usano il termine al singolare, perché si riferiscono a un solo othon. Nella tomba di Gesù, Pietro vede invece degli othonia, cioè almeno più di un lenzuolo o panno. Su questi panni, stando al vangelo di Luca, Pietro non vede alcuna immagine di Gesù impressa! La presenza di questi panni o lenzuola serve al racconto solo per dire che il corpo di Gesù non è più nello stato in cui era prima. Non è più avvolto da panni funerari. Il testo fa capire che il corpo di Gesù non è più nelle lenzuola, non che sulle lenzuola si sia impresso il volto e il corpo di Gesù che era contenuto in esse! L’assenza di ogni immagine di Gesù sulle lenzuola (oltre al fatto che si tratta di lenzuola al plurale) mi sembra tolga ogni possibilità di identificazione tra la sindone di Torino e le lenzuola menzionate dal Vangelo di Luca. Il Vangelo di Luca poi non parla più di questi panni o lenzuola né dice che qualcuno le abbia prese. Gli specialisti dicono che gli Atti degli Apostoli è un’opera scritta dallo stesso autore del Vangelo di Luca. Ebbene: negli Atti degli Apostoli non si parla più né del lenzuolo, né dei panni che avevano avvolto il cadavere di Gesù secondo il Vangelo di Luca. Il disinteresse per questo argomento è totale”.
Questo il commento di Pesce ai versetti di Luca. Ancora una volta l’esegeta non capisce che nessuna donna è mai entrata nel sepolcro e quindi nessuna poteva vedere qualcosa, se non al massimo l’uscio aperto. Non capisce che Pietro non va al sepolcro da solo, ma insieme a Giovanni. Nel vangelo di Luca l’apostolo Giovanni è stato tolto, perché il conflitto con la teologia petro-paolina aveva raggiunto un punto di totale rottura. Tant’è che viene fatta sparire anche la Sindone. Se Luca parla di panni o bende o lenzuola al plurale, non sa quel che dice, come spesso succede nel suo vangelo. Infatti le uniche bende esistenti sono quelle che legavano in più punti il lenzuolo per tenerlo stretto alla salma.
A Pietro non interessa la Sindone, perché non è sulla base di quella che può impostare la sua tesi della resurrezione, che invece ruota attorno a concetti mistici, come impotenza umana, morte necessaria di Gesù, prescienza divina, parusia imminente e trionfale del messia.
L’impronta della sagoma di Gesù sulla sindone non è così sconvolgente a occhio nudo come quella che si vede nel negativo fotografico. Se anche quell’immagine non appartenesse a Gesù, di sicuro nessun falsario avrebbe potuto produrla.
Vediamo ora il commento a Matteo. Qui “si parla di una riunione di autorità religiose e politiche che fanno sigillare il sepolcro di Gesù e lo fanno sorvegliare da armati. Un angelo scende dal cielo. La discesa è accompagnata da un terremoto. L’angelo apre il sepolcro alla presenza sia dei soldati sia di ‘Maria di Màgdala e l’altra Maria’. Esse vedono solo un angelo (non due come in Luca) e assistono all’apertura del sepolcro (mentre in Marco il sepolcro era già aperto). Solo Matteo parla della presenza dei soldati e delle donne all’apertura del sepolcro da parte di un angelo. È importante il fatto che le donne non entrano nel sepolcro e che in esso non entri nessuno dei discepoli. Pietro quindi, secondo il Vangelo di Matteo, non vede alcun lenzuolo abbandonato nella tomba come invece raccontava Luca”.
Pesce sembra non capire che Matteo s’inventa tutto. È unicamente preoccupato a contrastare l’accusa dei capi giudei secondo cui il corpo di Gesù è stato trafugato dagli apostoli per far credere che Gesù era risorto. Tutto il resto che scrive è pura fantascienza. Avrebbe meritato d’esser messo negli apocrifi.
Ma proseguiamo con Pesce. “Nel quarto vangelo non è solo Giuseppe d’Arimatea che si fa dare il cadavere di Gesù da Pilato, ma anche Nicodemo. Ambedue avvolgono il cadavere di Gesù, ma non in una sindôn, bensì – al plurale – in othoniois. Per giunta, il Vangelo di Marco sostiene che ‘passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù’ e così pure dice Luca: ‘il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, si recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che avevano preparato’. Giovanni invece pensa che il cadavere di Gesù sia stato già profumato e unto da Giuseppe di Arimatea e Nicodemo. In Giovanni è solo Maria Maddalena che va al sepolcro e non altre donne come in Marco, in Luca e Matteo. Quando Maria di Magdala arriva, il sepolcro è già aperto (come in Marco e non ancora chiuso come in Matteo. In sostanza, il Vangelo di Giovanni è coerente nell’affermare che il cadavere di Gesù fosse stato avvolto in lenzuola al plurale (othonia). Aggiunge che nella tomba c’era anche piegato a parte un soudarion che ‘era stato posto sul capo’ di Gesù. È interessante che il Vangelo di Giovanni quando parla al capitolo 11,44 delle fasciature del cadavere di Lazzaro menziona delle keiriai (bende che sarebbero sulle mani e suoi piedi) e non degli othonia (panni grandi o lenzuola). Sia le lenzuola che il soudarion sarebbero stati visti sia da Pietro sia dal discepolo amato e da nessun altro. Nessuno dei due, però, si badi bene, portò via lenzuola e sudario. Anche in questo caso la descrizione, puntigliosa, di Giovanni non dice affatto che il volto e il corpo di Gesù fossero impressi sulle lenzuola e/o sul soudarion. Una cosa simile non avrebbe potuto sfuggire al loro sguardo. Secondo il racconto il soudarion era accuratamente ripiegato e posto in un luogo diverso rispetto alle lenzuola. Ciò significa che, secondo l’autore del testo, il discepolo amato ha guardato accuratamente questi panni. Su di essi, evidentemente, non vi era alcun segno dell’immagine di Gesù. Quindi anche questo testo porta ad escludere che la sindone di Torino coincida con quella di cui parla il Vangelo di Giovanni”.
È straordinario come per Pesce tutte queste contraddizioni tra i vangeli non significhino assolutamente nulla. Lui ha in testa un’unica tesi: la Sindone è un falso medievale e comunque, anche se non lo fosse, nulla lascia pensare che quella immagine corrisponda al corpo di Gesù.
Non capisce che Nicodemo è stato aggiunto successivamente, forse in omaggio alla sua conversione al cristianesimo petropaolino. E quindi che, in assenza di oli e aromi profumati, il corpo di Gesù non fu né lavato né unto. Non capisce che la parola “sudario” (usata nel mondo romano ed egizio) è stata messa per sostituire la parola “Sindone”, oppure che è un suo sinonimo. Non capisce che i corpi dei cadaveri ebrei non venivano bendati o fasciati (alla maniera egizia) ma solo avvolti in un lenzuolo. Non accetta l’idea che se l’autore della pericope parla di lenzuolo ripiegato su se stesso e posto in un luogo a parte, vuol dire che quell’oggetto fu conservato gelosamente (dallo stesso Giovanni), anche nei confronti delle stesse autorità giudaiche, le quali, se l’avessero visto, avrebbero certamente fatto in modo di distruggerlo. Ma soprattutto non capisce che se anche quel lenzuolo fosse stato esibito in pubblico, non avrebbe potuto evitare a Pietro di formulare la sua interpretazione della tomba vuota come “resurrezione”, né avrebbe potuto indurre il movimento nazareno a proseguire sulla strada dell’insurrezione nazionale. Quello era un reperto che doveva restare “chiuso in un cassetto”, perché non costituiva la prova di nulla.
Pietro ha costruito la sua religione sulla base della Sindone, senza poter dire ch’essa esisteva, poiché se l’avesse esibita, proprio la Sindone l’avrebbe smentito. Infatti la Sindone non è un oggetto mistico, mentre invece lo è la sua tesi sulla resurrezione, cui bisogna credere solo per fede.
Non è vero quindi che “Se i discepoli avessero posseduto il lenzuolo in cui il cadavere di Gesù era stato avvolto, nel quale l’immagine del volto e del corpo ferito fosse stato impresso, sarebbe stato per loro molto facile affermare: per credere basta vedere il lenzuolo. Oppure: se avessero pensato che la fede si basa sulla vista e sul tatto avrebbero fatto ricorso a questo lenzuolo (se lo avessero posseduto). Ma il testo mostra chiaramente: (1) che non avevano alcun lenzuolo e (2) che non pensavano affatto che l’immagine del corpo di Gesù fosse rimasta impressa su un lenzuolo e (3) soprattutto non pensavano affatto che un lenzuolo con l’immagine del corpo morto di Gesù servisse a fondare la fede”.
Invece è esattamente il contrario: 1) avevano il lenzuolo; 2) sapevano che quella sagoma corrispondeva a Gesù; 3) ma siccome Pietro non attribuì al reperto alcun valore religioso, non lo si utilizzò per far nascere il cristianesimo.
Quindi recuperare l’autenticità del cristianesimo significa minare le basi del cristianesimo. E questo può essere fatto solo in un’unica maniera: dimostrando che il Cristo politico della Sindone non ha nulla a che fare col Cristo teologico dei vangeli.
L’errore di Pesce è comunque a monte: parte da Marco invece che da Giovanni. Non capisce che il IV vangelo si oppone ai Sinottici e alla teologia petro-paolina ch’essi esprimono, e lo fa proprio in quanto “testo politico” che sponsorizza l’immagine di un Cristo sovversivo contro i Romani. Proprio perché impostato in questi termini, quel vangelo, per sottrarsi alla damnatio memoriae, è stato costretto ad autocensurarsi in chiave altamente spiritualistica, ai limiti della gnosi.
Nota
1 Cfr Was Jesus a Political Revolutionary?, in “Annali di Storia dell’Esegesi”, 36, 2 (2019), pp. 453-468. Ma la tesi si trova anche in vari libri, p.es. La morte di Gesù. Indagine su un mistero, ed. Rizzoli, Milano 2014. Il sito di Mauro Pesce è www.mauropesce.net/IT/