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Addendum a Pescatori di favole

Visto che il titolo di questo libro è Pescatori di favole, vogliamo cimentarci anche noi a scrivere una sorta di parabola per le persone ingenue, disposte a credere in cose fantastiche e che, nonostante ciò, non sarebbero disposte a compiere cose che vanno al di là del buon senso. La parabola la vogliamo intitolare L’idea di morte e di resurrezione.

È probabile che i miti pagani in cui si parla di “resurrezione” siano più antichi di quel che non si creda. Il paganesimo è legato allo schiavismo, e quindi può essere fatto risalire ad almeno seimila anni fa. Tuttavia il paganesimo, per poter giustificare lo schiavismo, aveva bisogno di rifarsi, seppur in maniera distorta o strumentale, alle religioni precedenti, cioè all’animismo e al totemismo.

Queste religioni vengono dette “naturalistiche” semplicemente perché fanno dei fenomeni naturali o degli animali le loro “divinità”. Gli esseri umani si sentivano parte della natura, la rispettavano e, se erano costretti a uccidere degli animali per sopravvivere, lo facevano con un certo senso di colpa, poiché si rendevano conto di non essere molto diversi da loro.

La natura era percepita come un tutto unico, e quando qualcuno del villaggio moriva, si dava per scontato di poterlo, un giorno, rivedere. L’aldilà non era immaginato molto diverso dalla vita terrena. Nelle tombe si mettevano le armi usate quando si andava a caccia, ma anche il cibo, i monili, i vestiti, gli attrezzi da lavoro… Il concetto di “morte”, in un certo senso, non esisteva. La morte non era che un momento di passaggio da una condizione di vita a un’altra. Per molte popolazioni persino la nascita non era che una forma di “rinascita” da parte di una sostanza eterea, invisibile, che nella nostra cultura occidentale abbiamo chiamato col nome di “anima”.

Ora, quando finì il comunismo primitivo e si passò alle prime forme di schiavismo, statale o privato, cominciarono a sorgere quei miti che dovevano legittimare la transizione. I miti pagani in cui si parla di morte e resurrezione non sono pochi. Qual è la loro caratteristica? Quella principale è che a morire e risorgere sono solo gli dèi. I comuni mortali muoiono soltanto, oppure la loro anima va a vivere in un posto orrendo, pieno di solitudine e disperazione.

I miti pagani erano falsi e bugiardi, poiché dovevano giustificare il potere monarchico e aristocratico. Tuttavia riflettevano una credenza che un tempo era stata popolare: quella che la morte è solo un momento di passaggio. Gli dèi non possono morire, anche se vengono uccisi da altri dèi, o detronizzati del loro potere.

Si noti cosa dice il mito ebraico della creazione, là dove Dio mette sull’avviso la coppia che viveva nell’Eden: “Non mangiate dell’albero della conoscenza, altrimenti morirete”. Come poteva morire un essere umano fatto a “immagine e somiglianza” di Dio? Evidentemente non potevano intendere quella parola in senso fisico. Morire voleva dire, in realtà, “morire dentro”, cioè nello spirito. Era soltanto l’idea di qualcosa di terribile, di angoscioso, di disperato.

Chi aveva creato l’essere umano, voleva che arrivasse alla conoscenza completa delle cose, ma in maniera graduale, rispettando i tempi di una crescita normale, naturale. In questa maniera non sarebbe mai morto, né nel fisico né nello spirito. Invece, siccome venne meno ai propri impegni, l’uomo cominciò a morire dentro, e chi l’aveva creato pensò di ridurgli il tempo della vita fisica, terrena. Infatti, non avrebbe avuto senso far vivere per troppo tempo chi soffriva terribilmente nell’anima per la colpa compiuta e che si trovava a vivere un’esistenza sempre meno umana, sempre meno conforme a natura.

Gli uomini avevano sicuramente la percezione del tempo che passava, ma non attribuivano alla morte fisica un motivo di angoscia. Sapevano di dover morire a causa della colpa originaria, ma non ritenevano che la morte fosse la fine di tutto. Sapevano bene di essere destinati a esistere.

Fu solo con la nascita dello schiavismo e del paganesimo che si cominciò a pensare alla morte come a una disgrazia d’incalcolabile portata, che nessun uomo di potere avrebbe mai voluto affrontare. Gli antichi Egizi arrivarono a pensare che almeno i faraoni e le persone facoltose, che potevano permettersi un proprio sepolcro, avrebbero potuto continuare a esistere nell’aldilà. Per tutti gli altri il destino sarebbe stato incerto: bastava che il cuore pesasse anche solo un grammo più di una piuma che si moriva per sempre. L’Ade, il Tartaro, gli Inferi… sono luoghi orribili, in cui non esistono piaceri di alcun tipo. Era quasi meglio pensare che dopo la morte non vi fosse più nulla o che la liberazione coincidesse con il pieno annullamento di sé.

Gli ebrei, al tempo dei Maccabei, non scartavano a priori l’idea che, dopo morti, vi fosse qualcosa di positivo, di meritevole d’essere vissuto, soprattutto per chi avesse dimostrato di aver fede. Anche nel mondo islamico si pensava che l’aldilà fosse qualcosa alla portata di tutti, e che i frutti del paradiso se li sarebbero potuti godere quanti se li fossero meritati sulla Terra. I Vichinghi chiamavano Valhalla il luogo nel cielo, dove gli eroi, condotti dalle valchirie (donne a cavallo), sono accolti nella splendida residenza del dio Odino, restando in attesa della grande battaglia finale che dovranno combattere, tutti insieme, contro il male.

Proprio nel mondo ebraico apparve, duemila anni fa, un uomo chiamato Gesù. Voleva liberare la Palestina dai Romani e togliere il potere alla casta sacerdotale corrotta, che gestiva il Tempio di Gerusalemme. Ma non vi riuscì, in quanto fu tradito. Messo a morte, il suo corpo fu deposto in una tomba scavata nella roccia, appoggiato su una lastra di pietra, avvolto in un lungo lenzuolo, tenuto unito con dei lacci. Il corpo era ancora tutto sporco del sangue della fustigazione e della crocifissione, in quanto la sepoltura, per motivi di purità legale, era stata molto affrettata.

Il giorno dopo però due donne si accorsero che la pietra rotolante che ostruiva l’ingresso della tomba era stata spostata, sicché si poteva entrare dentro. Cosa videro? Videro che il corpo era scomparso. Pensarono ch’era stato trafugato da qualcuno. Andarono ad avvisare gli unici due apostoli presenti nella capitale giudaica: Pietro e Giovanni, che si preoccuparono di vedere coi loro occhi quanto era accaduto. Presero atto che le donne avevano ragione, ma videro anche due cose molto strane: i legacci che tenevano unito il lenzuolo erano per terra, mentre il lenzuolo era piegato e riposto da una parte.

La domanda che si posero fu questa: “Che senso ha rubare un cadavere senza quel lenzuolo?”. Uno dei due discepoli, Pietro, cominciò a dire che Gesù era “risorto”; l’altro invece preferì limitarsi a pensare ch’era misteriosamente scomparso. Attesero un po’ di tempo, sperando che Gesù si rifacesse vivo, ma invano. Non avevano però molto tempo per attenderlo. Infatti, siccome Gesù era andato a Gerusalemme per compiere la liberazione della Palestina, si doveva decidere in fretta.

A questo punto la domanda che s’imponeva era un’altra: “Si fa lo stesso la rivoluzione o vi si rinuncia?”. Giovanni era per la prima soluzione. Pietro invece escogitò una via di mezzo: disse che se Gesù era risorto, non poteva che tornare, e questa volta l’avrebbe fatto in maniera trionfale. Ma Gesù non ricomparve più e l’insurrezione non si fece. Il movimento politico nazareno si trasformò in un movimento religioso cristiano, che cominciò a predicare che il Cristo era risorto proprio perché “unigenito figlio di Dio”. E tutti vissero infelici e scontenti, sostenendo che solo nell’aldilà si può vincere questa terribile tristezza.

Cosa insegna questa parabola? Tante cose. La prima è la più elementare: se esiste un aldilà, chi ci vive non può interferire con le scelte che gli uomini devono prendere sulla Terra, poiché inevitabilmente le influenzerebbe, in un modo o nell’altro. Secondo: gli esseri umani devono cercare anzitutto di vivere bene su questa Terra, in maniera conforme a natura, senza riporre nell’aldilà la soddisfazione dei loro desideri. Terzo: Gesù era un uomo come gli altri; non ha mai compiuto nulla che potesse far pensare che fosse un dio; dunque se è scomparso in maniera strana, lasciando la propria impronta sul lenzuolo che lo avvolgeva, forse aveva qualcosa in più di un semplice essere umano, ma noi non possiamo sapere cosa, né ci deve interessare. Quarto: se Gesù, dopo essere scomparso, ha continuato a vivere in qualche altra parte dell’infinito universo, questo può indurci soltanto a pensare che il nostro destino non sarà molto diverso dal suo. Nel senso che se, ad un certo punto, eravamo arrivati a non credere più d’essere eterni, ora abbiamo la prova che lo siamo davvero.

Siamo destinati a esistere, che lo si voglia o no. E dobbiamo dimostrare d’essere davvero umani su questa Terra, rispettando le esigenze di vivibilità della natura. Dunque le idee di “morte” e di “resurrezione” non hanno alcun senso: sono fuorvianti e, in fondo, mistificanti. Se nessuno può morire definitivamente, nessuno può risorgere. Tutti continueremo ad esistere in un’altra dimensione, con nuove possibilità di scelta.