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Diario su Cristo. La democraticità del Cristo

1.3. La democraticità del Cristo

Nel complesso condivido l’idea di chi pensa che il Gesù storico, culturalmente giudaico, sia stato inserito dagli evangelisti in una tradizione ellenistica favorevole a un’etica universalistica e spiritualistica; posso anche accettare l’idea che tale tradizione si sia sovrapposta persino alla mistificazione petropaolina.

Quel che non posso assolutamente condividere è l’idea che il Cristo si ponesse come leader messianico-davidico. Si badi: non perché non fosse un politico, né perché non avesse intenti eversivi e rivoluzionari (sia contro i sacerdoti del Tempio che contro l’usurpatore romano), ma perché, se fosse stato solo questo, non si sarebbe distinto in nulla dagli altri leader zelotici, ch’erano fondamentalmente estremistici, se non terroristici nella loro variante sicaria.

Gesù voleva compiere un’insurrezione popolare e nazionale (interetnica e/o intertribale) usando metodi il più possibile democratici, che avrebbero previsto l’uso delle armi solo come soluzione difensiva, come extrema ratio. Quindi gli erano estranei i concetti di “colpo di stato”, di occupazione militare e quindi violenta di una città, di violenza gratuita e terrorizzante (cioè di uso sproporzionato della forza), di esecuzioni capitali o di punizioni esemplari, di uso della tortura per estorcere confessioni, e cose analoghe.

Con Gesù si può dire che siano nati sia il concetto di democrazia sostanziale che di socialismo democratico: due valori che ancora oggi non siamo riusciti a realizzare in nessuna parte del mondo. Forse le uniche vere esperienze democratiche e socialiste sono quelle delle tribù rimaste incontattate da tutte quelle civiltà antagonistiche sviluppatesi a partire dallo schiavismo.