Diario su Cristo. Le guerre giudaiche
La I guerra giudaica
La guerra giudaica del 66-70 poteva essere l’inizio di una generale rivolta contro l’impero romano da parte delle sue province più sfruttate. Invece non fu così. L’impero continuò a esistere fino al pagano Diocleziano nella forma più intollerante possibile nei confronti del cristianesimo, poi, fino alla caduta di Costantinopoli, l’impero sopravvisse nella forma culturale e ideologica dell’ebraismo e del paganesimo cristianizzati. In fondo il cristianesimo non è che un mix di ebraismo e paganesimo, entrambi stravolti nella loro identità originaria.
La guerra giudaica scoppiò quando tra Roma e i Parti era stato stabilito come confine l’Eufrate, per cui esisteva un patto reciproco di non aggressione, che durò da Tiberio a Domiziano (14-96). Una situazione d’instabilità politica vi era semmai in altri Stati sottoposti al dominio romano: Cappadocia, Commagene e Cilicia, dove erano morti i rispettivi sovrani e la popolazione pretendeva maggiore autonomia da Roma. Ma la situazione più critica era in realtà in Armenia, una nazione molto contesa tra Romani e Parti. In tal senso si può dire che solo con Traiano (114-117) i Romani riuscirono ad avere la meglio sui Parti e sull’Armenia, ma fu una vittoria momentanea, in quanto subito dopo si preferì ricostituire il confine precedente.
Ecco, questa era la principale situazione internazionale concomitante alla guerra giudaica. Si può forse aggiungere, considerando che le comunità ebraiche erano sparse in tutto l’oriente, che una guerra in Palestina avrebbe potuto essere foriera di forti minacce alla stabilità dell’impero romano. Lo stesso Giuseppe Flavio lo dice: “Quando divampò questo immane conflitto i Romani attraversavano un periodo di difficoltà, mentre il partito rivoluzionario dei Giudei era allora al culmine delle forze e dei mezzi… Infatti i Giudei speravano che tutti i loro connazionali al di là dell’Eufrate avrebbero preso parte all’insurrezione. I Romani invece avevano preoccupazioni dai vicini Galli, mentre nemmeno i Celti stavano tranquilli; e poi alla morte di Nerone tutto piombò nel disordine, quando molti ne approfittarono per impadronirsi dell’impero e gli eserciti aspiravano a diverse soluzioni della crisi per speranza di donativi” (Guerra giudaica).
Secondo Filone d’Alessandria i rapporti tra Romani ed ebrei peggiorarono in maniera significativa dall’anno 40, quando l’imperatore Caligola avrebbe tentato di far collocare una statua con le sue fattezze nel Tempio di Gerusalemme, sostenendo d’essere un dio e pretendendo venerazione, pena la morte per disobbedienza. I Giudei si opposero, in quanto la legge ebraica vietava di porre nel Tempio qualsiasi immagine, sia pure di divinità. E per fortuna nel 41 Caligola morì, altrimenti la guerra sarebbe stata inevitabile. Tuttavia, secondo Giuseppe Flavio, il malgoverno dei prefetti romani, come Lucceio Albino e Gessio Floro, era diventato insopportabile, non meno del collaborazionismo corrotto dell’aristocrazia laica e sacerdotale.
Sul piano sociale il banditismo o il brigantaggio si sviluppò molto negli anni 50-60, cioè dopo la grave carestia della fine degli anni 40, al tempo del procuratore Tiberio Alessandro (46-48). Era una forma prepolitica, spontaneistica, di rivolta sociale i cui protagonisti erano i contadini indebitati, i mezzadri e i braccianti senza terra, che potevano rovinarsi anche se sopravveniva una carestia provocata da una siccità o da una guerra. In ogni caso non c’erano solo i debiti da pagare (coi loro interessi), ma anche le tasse al Tempio (si pensi alla decima1) e i tributi ai Romani, che potevano arrivare anche al 40% di tutta la produzione.2 Quando a Roma vi erano guerre civili o di conquista, la pressione fiscale aumentava inevitabilmente. Città come Gofna, Emmaus, Lidda e Thamma ebbero gli abitanti schiavizzati solo perché avevano tardato a pagare i tributi.3
Giuseppe Flavio parla di azioni repressive condotte da tutti i procuratori romani: Cumano (48-52), Festo (60-62), Albino (62-64). Le imposte erano assolutamente insopportabili. Persino i Romani si accorgevano che la situazione stava diventando esplosiva, tant’è che spesso venivano a patti coi briganti, estorcendo loro dei soldi in cambio della scarcerazione. In Galilea comandavano nettamente i banditi quando vi giunse Giuseppe per organizzare le difese. Il brigante era protetto dal popolo, semplicemente perché derubava i proprietari terrieri, la piccola nobiltà benestante, laica o religiosa che fosse.
Nel 66 il procuratore Gessio Floro pretese che fossero prelevati 17 talenti dal Tempio, col pretesto che servivano per l’amministrazione imperiale, e, trovando opposizione, inviò i propri soldati, che provocarono la morte di 3.600 persone.4
Floro fu denunciato al governatore di Siria Gaio Cestio Gallo, i cui ispettori diedero ragione ai Giudei, ma avvennero due fatti concomitanti che fecero scoppiare la guerra: il rifiuto di compiere sacrifici nel Tempio a favore dei Romani e l’eliminazione della guarnigione romana stanziata a Masada.
Vediamo il primo. Il capitano del Tempio di Gerusalemme, Eleazar, figlio del sommo sacerdote Anania, decise di sospendere il sacrificio quotidiano per l’imperatore. Era come dichiarare guerra.5 Infatti scoppiò una rivolta in tutta la città. Floro inviò 2.000 cavalieri a domarla, ma non ci riuscirono.
Emerse intanto in Galilea la figura di un capo dei sicarii (una sorta di zeloti estremisti), Menahem, figlio di Giuda di Galilea e nipote di Ezechia (quest’ultimo fatto giustiziare da Erode il Grande perché ribelle zelota).6 Con la sua banda Menahem aveva occupato la fortezza Masada, costruita da Erode il Grande nel 37-31 a.C. come rifugio in caso di guerra, ma dove dal 6 d.C. era di stanza una guarnigione romana. Dopo aver eliminato quest’ultima (circa 700 militari) mosse verso Gerusalemme, dove ebbe facilmente la meglio sugli ebrei filoromani e dove impedì alla guarnigione stanziata nella fortezza Antonia di poter fare alcunché. Eliminò anche il sommo sacerdote Anania, che cercava di pacificarsi coi Romani.
I rivoltosi incendiarono gli edifici romani e di Erode Agrippa II, fecero fuori tutti gli archivi pubblici per liberare i debitori dei loro pesi e s’impadronirono dell’area del Tempio.7 Anzi, Eleazar chiese ai Romani rinchiusi nella fortezza Antonia di arrendersi, altrimenti li avrebbero uccisi tutti. Loro si arresero, ma dopo aver consegnato le armi, furono trucidati ugualmente. L’azione suscitò una generale indignazione, tanto che a Cesarea Marittima Floro fece uccidere 10.000 ebrei. In questo modo però la ribellione si estese a tutta la Giudea settentrionale, dove Giudei e Siri si massacravano a vicenda.
A questo punto il governatore romano della Siria, Gaio Cestio Gallo, decise d’intervenire con la legione XII Fulminata e con altre truppe, ma non fu in grado di riprendere Gerusalemme. Anzi, durante un ripiegamento cadde in un’imboscata tesagli a Beth Horon da Eleazar figlio di Simone, che gli fece perdere quasi l’intera legione di 6.000 uomini. In ciò fu aiutato in maniera decisiva da un altro leader zelota di origine edomita: Simone figlio di Giora, nativo di Gerasa nella Decapoli, ma la sua centrale operativa era a Nain in Galilea. Gallo riuscì a riparare ad Antiochia, ma l’imperatore Nerone (che in quel momento si trovava in Grecia) lo sostituì nel 67 con Tito Flavio Vespasiano, che in Siria concentrò la gran parte delle forze romane e che si servì di suo figlio Tito, per rilevare la legione XV Apollinaris, stanziata in Egitto.
Incoraggiato dai suoi successi, Menahem si comportò come un messia-re e rivendicò la leadership di tutte le truppe giudaiche, suscitando la rivalità di Eleazar, il quale decise subito di assassinarlo (i sicarii sopravvissuti tornarono alla fortezza Masada, dove rimasero sino alla fine della guerra contro i Romani).
Questa rivalità interna tra leader ebrei fu sostanzialmente la causa della sconfitta contro i Romani. Fu la mancanza di una guida centralizzata delle operazioni belliche che impedì loro di approfittare dei vantaggi acquisiti inizialmente. Mancò anche la capacità di trovare una soluzione politico-diplomatica. In tal senso la rivolta dei Maccabei contro i Seleucidi era stata svolta con maggiore intelligenza delle cose. È dunque sbagliato sostenere che, essendo l’impero romano molto più potente di quello seleucide, gli ebrei erano destinati a perdere.
Eleazar figlio di Simone non fu mai capace di stabilire un’intesa politica coi due più importanti leader politici zeloti-sicarii: Giovanni figlio di Levi, meglio conosciuto come “di Giscala” (città della Galilea), e lo stesso Simone figlio di Giora, che pur l’aveva aiutato militarmente.
Giovanni era fuggito dalla Galilea quando Vespasiano8, dopo aver vinto varie città della Galilea e soprattutto la resistenza della fortezza di Jotapata (40.000 morti), comandata da Giuseppe (Flavio)9, era passato ad assediare Giscala. Giuseppe fu nominato da Eleazar figlio di Simone capo militare delle forze ribelli in Galilea per gestire la rivolta e cercare un compromesso onorevole con Vespasiano. Ma gli zeloti non sopportavano di dover prendere ordini da un fariseo della Giudea, e avevano subodorato che non fosse abbastanza determinato contro Roma, sicché l’avevano isolato. Giuseppe, in sostanza, non era stato in grado né di controllare gli zeloti della Galilea né di organizzare un esercito in grado di resistere ai Romani, poiché in sostanza si appoggiava sulla piccola nobiltà locale ed era effettivamente favorevole a una trattativa che permettesse alla Giudea di ottenere un’autonomia simile a quella della Grecia, che non aveva il prefetto romano. Al massimo avrebbe accettato un regno vassallo sotto Erode Agrippa II, che aveva già 50 anni ed era senza eredi.10
Questa situazione ambigua si sbloccò quando i Romani decisero di occupare la Galilea. Una volta presa Giscala, la strada era spianata. Quando Giovanni arrivò a Gerusalemme con alcune migliaia di seguaci, raccontando del tradimento di Giuseppe, si accentuò l’odio degli zeloti nei confronti dell’aristocrazia sacerdotale, al punto che eliminarono il sommo sacerdote Mattathias ben Theophilus (forse padre di Giuseppe), sostituendolo con lo sconosciuto Phannias ben Samuel, l’ultimo sommo sacerdote d’Israele, anch’egli morto nel 70.
Quanto a Simone figlio di Giora, a Gerusalemme non volevano assegnargli alcuna posizione di comando, poiché erano intenzionati a trattare una pace onorevole coi Romani, al fine di garantirsi una propria indipendenza nazionale.
Per tutta risposta Simone radunò un gran numero di rivoluzionari e iniziò a derubare molte persone benestanti nel distretto di Akrabatene.11 Quando il sommo sacerdote Ananus12 gli inviò un esercito per bloccarlo, Simone si rifugiò a Masada. Ma dopo aver saputo che Ananus era stato ucciso dagli Idumei mentre cercava di togliere agli zeloti il controllo del Tempio, entrò a Gerusalemme col suo esercito e combatté insieme agli zeloti contro i Romani.
Praticamente la città fu spartita tra varie forze in continua lite tra loro, capeggiate da leader con ambizioni regali o messianiche a livello nazionale: oltre a Eleazar vi erano appunto Simone bar Giora e Giovanni di Giscala. Fu quest’ultimo che, dopo aver convinto gli zeloti a credere che Ananus aveva contattato Vespasiano per una trattativa pacifica, aveva deciso di aprire le porte della città agli Idumei per impedire la consegna di Gerusalemme ai Romani. Fu lui a chiedere agli Idumei di far fuori Ananus. Ecco perché la città rimase sotto il controllo degli zeloti e sicarii fino al 70. In un resoconto, riportato nel Talmud, viene detto che distrussero le scorte di cibo nella città, usando la fame per costringere la gente a combattere contro l’assedio romano, invece di negoziare la pace.
In pratica dal 66 al 68 Vespasiano occupò Galilea, Samaria, le città costiere di Giaffa e Jamnia, la Perea, l’Idumea e diverse città nel nord della Giudea. Gerusalemme era praticamente circondata. Proprio nel momento in cui stava per predisporre l’assedio della città, dovette ritornare a Roma, al seguito di Nerone, alle prese con rivolte popolari in Gallia, Hispania e Lusitania. Tali rivolte furono fatali per Nerone, che si suicidò. Al termine delle lotte tra i successori prevalse proprio Vespasiano, che intanto aveva affidato la gestione finale della guerra giudaica al figlio Tito, affiancato dal comandante in seconda Tiberio Giulio Alessandro, ex-ebreo nominato da Nerone prefetto d’Egitto, che ordinò un massacro imponente degli ebrei residenti ad Alessandria, ribellatisi per sostenere la Giudea in rivolta. Alessandro volle conservare il Tempio, ma un incendio scoppiato durante l’assedio, lo distrusse quasi completamente.
La disfatta inevitabile della città, totalmente priva di un comando unificato, comportò la morte di tutti i suoi leader più significativi: Eleazar figlio di Simone, Giovanni di Giscala e Simone figlio di Giora (Giovanni arrivò a uccidere lo stesso Eleazar). I sopravvissuti (poco più di 960 persone) si rifugiarono a Masada ove resistettero fino al 73; poi, per non cadere vivi nelle mani degli ebrei, si suicidarono tutti, meno due donne e cinque bambini, nascosti in cunicoli sotterranei.
Non si sa se i giudeo-cristiani (ebioniti) parteciparono alla rivolta: una tradizione li vuole rifugiati a Pella nella Decapoli, una città libera, ostile ai Giudei.13 Lo fecero quando scorsero l’esercito di Cestio Gallo accampato intorno a Gerusalemme. Se non fossero fuggiti subito, non avrebbero più potuto farlo. Quando Tito, nel 70 d.C., pose il campo sull’estremità settentrionale del monte degli Ulivi, gli abitanti di Gerusalemme non poterono più andare via. Infatti i sicarii uccidevano come disertore chiunque cercasse di uscirne. In ogni caso erano bastati tre giorni per cingere la città con un muro tutto intorno e ogni comunicazione con l’esterno veniva prontamente intercettata.
Il rabbino Yochanan ben Zakkai (Giovanni figlio di Zaccheo), discepolo di Hillel e favorevole a che Gerusalemme assediata si arrendesse ai Romani, chiese a Vespasiano che l’accademia rabbinica di Javneh (o Jamnia) venisse risparmiata. Fu qui che, quando il Tempio cadde in rovina, lui e i suoi colleghi ricostruirono il giudaismo insegnando che le buone azioni dovevano sostituire il potere espiatorio dei sacrifici rituali. La scuola teorizzò una cosa che il movimento nazareno del Cristo aveva capito 40 anni prima. E tuttavia questi ebrei non cercarono mai alcun compromesso coi cristiani.
La Giudea sconfitta venne ricostituita come una provincia amministrata da un prefetto di rango senatorio residente a Cesarea, che riferiva direttamente a Roma. A Gerusalemme era acquartierata la X legione Fretensis, che espugnò la fortezza di Masada. Fu questa legione che si trovò coinvolta nella seconda guerra giudaica del 115-117 e nella rivolta di Simone bar Kokheba (132-135), autoproclamatosi messia.
La seconda guerra giudaica venne chiamata anche guerra di Kitos dal nome del principale generale romano Lusio Quieto, principe di una tribù berbera della Mauretania Tingitana, regione africana alleata di Roma (coincidente all’incirca con la parte settentrionale dell’attuale Marocco).
La guerra coinvolse gran parte delle città della diaspora ebraica sotto il regno dell’imperatore Traiano. Questo perché un certo numero di rivoltosi scampati alla disfatta dei Giudei nel 70 trovarono rifugio ad Alessandria d’Egitto e a Cirene, ove si adoperarono per diffondere le loro idee nei ceti proletari della popolazione ebraica, senza avere l’appoggio dei ceti più elevati.
Per 40 anni i rapporti tra Roma e Giudei erano stati distesi solo perché l’imperatore Nerva (96-98) aveva abolito il tributo dovuto dai Giudei a Roma (che con Domiziano era diventato insopportabile) e li aveva esentati dal considerare l’imperatore una divinità, ma la tensione ad Alessandria tra Giudei e Greci restò sempre molto alta (anche perché rifletteva quella tra agricoltori-artigiani-piccola borghesia da un lato, e grandi latifondisti e grande borghesia mercantile dall’altro). Questo perché la maggioranza dei rabbini e della popolazione accettava la sottomissione di Roma solo come fase transitoria, in attesa di una nuova riscossa messianica. Anzi si era convinti che la distruzione di Gerusalemme e del Tempio fosse il momento culminante del periodo di tribolazione antecedente all’era del riscatto divino con l’immancabile vittoria giudaica.
La letteratura apocalittica dell’epoca, prodotta fra il 70 e il 135 d.C., consisteva principalmente nell’Apocalisse di Baruc e nel Quarto libro di Esdra, ma vi erano anche gli Oracoli sibillini. Nel canone ebraico però non venne inserito il Libro dei Maccabei, perché troppo “rivoluzionario”, e anche il Libro di Ester venne tolto dai libri storici (e senza il sogno preoccupante di Mardocheo o Mordechai) e messo tra quelli agiografici. La catastrofe del 70 veniva considerata come una punizione divina per la scarsa osservanza della Legge. Ovviamente non ci si rifaceva più all’autorità ereditaria dei sacerdoti gestori del Tempio, ma solo allo studio e all’insegnamento dei rabbini e dei farisei.
La rivolta coinvolse importanti comunità giudaiche in Egitto, in Cirenaica, a Cipro e in Mesopotamia, con violentissimi scontri tra i Giudei e i residenti, cogliendo di sorpresa lo stesso imperatore Traiano, che aveva partecipato alla guerra giudaica e che tra il 113 e il 116 aveva occupato la capitale partica Ctesifonte, e ridotto a province l’Armenia, la Mesopotamia e l’Assiria. Le comunità ebraiche disseminate nell’impero partico (dove fruivano di una larga autonomia giuridica e culturale) sobillavano le popolazioni da poco sottomesse a ribellarsi a chi pretendeva d’essere il nuovo Alessandro Magno.
Sotto Traiano si cominciava a capire che i cristiani, indifferenti alla politica, non erano pericolosi come gli ebrei. L’imperatore infatti aveva chiesto a Plinio il Giovane di non perseguitarli a priori, ma solo sulla base di fatti specifici. E riteneva alcuni territori relativamente sicuri, proprio perché le comunità cristiane erano numericamente superiori a quelle ebraiche: Siria, Cilicia, Cappadocia, Galazia, Asia, Bitinia…
Ma la prima a ribellarsi, nel 115-6, fu la comunità ebraica di Alessandria d’Egitto, che in seguito alla distruzione di Gerusalemme era diventata il centro mondiale della religione e della cultura ebraica. Il prefetto Marco Rutilio Lupo represse con tale energia la rivolta che per circa un secolo non vi saranno più ebrei nella città. I motivi della protesta era fondamentalmente due: 1) l’obbligo delle forniture di grano per Roma; 2) l’eccessiva tassazione che gravava soprattutto sulle masse contadine, di molto cresciuta proprio in conseguenza delle guerre partiche.14
La rivolta in Cirenaica e a Cipro non coinvolgeva solo gli ebrei, né era diretta solo contro i Romani, ma anche contro la popolazione greca ivi residente. Traiano mandò subito un’altra legione in Giudea, poiché non voleva che si estendesse anche qui. In particolare affidò al suo principale consigliere, Quinto Marcio Turbo, prefetto della Guardia Pretoriana, il compito di sedare con la forza qualunque agitazione sediziosa. Vi riuscì senza particolari difficoltà.
Tuttavia questa pericolosa instabilità faceva risollevare la testa alle popolazioni mesopotamiche appena sottomesse, al punto che Traiano dovette rinunciare a tutte le sue conquiste e tornare ad Antiochia di Siria. Era intenzionato a preparare una controffensiva nel 117, ma morì improvvisamente in Cilicia: dopo di lui l’impero non riuscirà più ad allargare i propri confini. Intanto aveva nominato il feroce Lusio Quieto, generale berbero, al ruolo di governatore della Giudea, e il generale Adriano a quello di governatore della Siria.
Sotto Quieto i Giudei non riuscirono a far nulla, poiché aveva grandi capacità militari, talmente grandi che lo stesso Adriano, per non averlo come concorrente al trono imperiale, lo fece assassinare nel 118. Marcio Turbo fu invece trasferito dall’Egitto in altre province del tutto periferiche.
La rivolta che portò alla terza guerra giudaica (132-135) scoppiò per tre principali motivi:
– il primo fu il divieto di circoncisione da parte dell’imperatore Adriano (117-138), un atto sconsiderato per i Giudei, mirante a privarli della loro specificità etnico-religiosa;
– il secondo fu il progetto di costruire una nuova città sulle rovine di Gerusalemme (da lui rinominata Aelia Capitolina) e porvi un tempio dedicato a Giove, un atto sacrilego per gli ebrei;
– poiché l’impero non era più in grado di espandersi, tassazioni e tributi aumentavano spaventosamente ai danni dei ceti subalterni e delle province.
Questa guerra fu chiamata anche rivolta di Simon bar Kokheba (Simone figlio della Stella), un condottiero e rivoluzionario ebreo, pretendente al trono del regno di Giudea. Rabbi Akiva, uno dei primi fondatori dell’ebraismo rabbinico, lo proclamò messia, poi principe d’Israele e infine re di Giudea dopo aver ottenuto una piccola vittoria contro Roma. Vi aderirono coloro che, per vari motivi, non avevano partecipato alle rivolte, localmente sparse, dell’epoca traianea.
La rivolta, accuratamente preparata (anche cercando di convincere popolazioni non ebraiche), scoppiò improvvisamente in tutta Israele, con una intensa e continua guerriglia, il combattimento più difficile per i Romani, abituati com’erano alle armature pesanti e agli scontri in campo aperto.
Simone ebbe buon seguito soprattutto nelle campagne e fra gli strati medio bassi della società, oltre a un certo numero di rabbi che lo appoggiarono, la maggior parte dei quali però lo definì “figlio della menzogna”.
Il successo della guerriglia fu anche favorito dalle scarse capacità del governatore Quinto Tineio Rufo (130-133), tant’è che Adriano (che in quel momento si trovava ad Atene) assegnò il comando militare al più capace Sesto Giulio Severo (134-137), che infatti fece tagliare i collegamenti dei ribelli, a cominciare dai rifornimenti, isolando le varie unità e affrontandole una per volta.
Alla rivolta aderirono anche molti Samaritani, Moabiti e Nabatei, ma non gli ebreo-cristiani, che si trasferirono nelle città greche oltre il Giordano. Gli Alani, cavalieri caucasici alleati di Roma, impedirono l’afflusso in Giudea di rinforzi ebraici dall’oltre Eufrate.
Nonostante le gravi perdite subite, nel 135 il nuovo governatore della Giudea, che poteva avvalersi di truppe provenienti da Britannia, Mauretania, Pannonia e Macedonia, riuscirà a distruggere l’ultima roccaforte ebraica, la fortezza di Bétar, situata a pochi chilometri da Gerusalemme, dove lo stesso Simone bar Kokheba trovò la morte. La Giudea fu completamente devastata: secondo Dione Cassio 580.000 ebrei rimasero uccisi (senza contare quelli che morirono di fame, malattia, incendi…), 1,5 milioni deportati al mercato degli schiavi di Hebron e Gaza, 50 città fortificate e 985 villaggi distrutti (inclusi quelli dell’Arabia Petrea, in quanto anche gli Arabi si erano sentiti offesi dal divieto della circoncisione). Praticamente quasi tutta la Giudea rimase deserta. I più fortunati riuscirono a rifugiarsi presso la comunità babilonese o l’attuale Yemen.
Le perdite dei Romani furono talmente pesanti che nel rapporto di Adriano al Senato fu omessa l’abituale formula “Io e il mio esercito stiamo bene”. Necessitò di ben 12 legioni per sopprimere la rivolta, ossia circa i 5/6 di tutta la forza militare dell’impero: fu la sola volta in cui il Senato rinunciò a far celebrare il trionfo al ritorno dell’imperatore dopo una vittoria militare. La superiorità dei Romani era basata soprattutto sulla presenza della cavalleria (del tutto assente tra gli ebrei) e sulla grande disponibilità di mezzi tecnici per la costruzione di macchine d’assedio.
Adriano tentò di sradicare per sempre l’ebraismo, poiché lo considerava causa di continue ribellioni. Proibì di seguire la legge ebraica, di attenersi al calendario ebraico e mise a morte gli studiosi della Torah, tra cui lo stesso Rabbi Akiva, che si era rifiutato di ottemperare al decreto. I “Rotoli sacri” delle scritture furono solennemente bruciati sul Monte del Tempio. Nel tentativo di cancellare la memoria stessa della Giudea, rinominò la provincia Syria Palaestina (dal nome dei loro antichi nemici, i Filistei) e agli ebrei da quel momento in poi fu fatto divieto di entrare nella capitale riconsacrata al paganesimo. I nuovi coloni subentrarono ai Giudei.
Quando le fonti ebraiche parlano di Adriano è sempre con l’epitaffio “possano essere le sue ossa frantumate”, un’espressione mai usata neppure nei confronti di Vespasiano o del figlio Tito che pur avevano distrutto il secondo Tempio.
Antonino Pio, successore di Adriano, permise di nuovo ai Giudei la circoncisione, ma solo sotto Costantino fu permesso ai Giudei di rientrare a Gerusalemme per piangere sul luogo del santuario, cosa che fanno ancora oggi. A partire da questa guerra la frattura tra ebrei e cristiani non si ricomporrà mai più.
Note
1 Le decime venivano raccolte dai leviti su tutto il territorio nazionale. Ma giungevano offerte al Tempio anche dalla diaspora.
2 Sotto i Seleucidi il tributo era 1/3 del grano e il 50% del vino e dell’olio.
3 Nell’antico Israele la legge mosaica impediva la perdita della terra per indebitamento, tant’è che ogni sette anni i debiti venivano condonati e gli schiavi affrancati. Ogni 50 anni (per il giubileo) ognuno veniva reintegrato nella proprietà familiare originaria (Es.21,2; Dt 15,1ss; Lv 25,8-24.35ss).
4 A volte si ha l’impressione che le cifre riportate da Giuseppe siano inverosimili. Purtroppo non si ha modo di metterle a confronto con altre fonti.
5 Si noti, in tal senso, come sia profondamente sbagliato sostenere che i Romani fossero molto tolleranti in campo religioso. Lo erano solo nel senso che accanto alle divinità diverse dalle proprie vi fossero anche le loro. Peraltro proprio in questo periodo avevano iniziato a pretendere che lo stesso imperatore venisse riconosciuto come una sorta di divinità. La religione ch’essi professavano è sempre stata considerata uno strumento al servizio del potere politico, anche nel caso in cui venisse ereditata da tradizioni straniere, non di origine latina.
6 Alcuni esegeti identificato questo Menahem con Menahem l’Esseno.
7 Erode Agrippa II fu l’ultimo sovrano del dinastia erodiana. Aveva il diritto di sovrintendenza al Tempio di Gerusalemme e poteva nominare il suo sommo sacerdote, ma dopo essere stato rovesciato dai suoi sudditi ebrei nel 66, sostenne sempre la parte romana nel prima guerra giudaica. Famoso il suo discorso, riportato da Giuseppe Flavio, con cui cercò, vanamente, d’impedire ai Giudei di ribellarsi ai Romani. Dopo la caduta di Gerusalemme si recò con la sorella Berenice a Roma, dove fu investito della dignità di pretore e ricompensato con territori aggiuntivi. Dopo la sua morte, intorno al 93-94, il suo regno fu trasformato in provincia romana.
8 Vespasiano disponeva di tre legioni (15.000 armati), 23 coorti (20.000 armati), sei ali di cavalleria (6.000 armati) e 15.000 truppe alleate (di Erode Agrippa II, Antioco IV Epifane di Commagene, Soemo di Emesa in Siria e del re nabateo Malco II), per un totale di circa 60.000 militari. Nonostante ciò trovò molta difficoltà a conquistare Jotapata; anzi fino al 69 non riuscì a imporsi. Poi, richiamato a Roma, lasciò al figlio Tito il compito di occupare Gerusalemme. Vespasiano poi deporrà Antioco IV nel 72 perché accusato di tramare coi Parti, annettendo il “regno cliente” all’impero. Quanto a Malco II, i Romani gli faranno poi perdere il controllo della città di Damasco.
9 Yosef ben Matityahu (figlio di Mattia) prese il nome di Tito Flavio Giuseppe dopo essersi arreso ai Romani durante la prima fase della guerra giudaica (66-70). Nato a Gerusalemme verso il 37-38, nel primo anno di regno dell’imperatore Caligola, da una famiglia della nobiltà sacerdotale israelita, imparentata con la dinastia degli Asmonei, morì verso il 100. Era un fariseo, scrisse le sue opere in maniera tendenziosa, in quanto si mise dalla parte dei Romani contro gli zeloti. I suoi scritti sono la principale fonte d’informazione che abbiamo sulla Giudea del I sec. Tutto quanto scrisse su Gesù Cristo viene considerato aggiunto o interpolato o addirittura rimosso da redattori cristiani.
10 Erode Agrippa II aveva perso la tetrarchia di Calcide nel 53, ma solo perché gli fu affidato un regno più vasto, che comprendeva la Batanea,·la Traconitide e regioni verso il Libano, cui altre ne aggiunse in seguito Nerone per i suoi servigi antigiudaici.
11 Akrabatene fu attaccata in precedenza da un altro leader zelota giudaico, Eleazar figlio di Dinai, che vendicò alcuni Galilei uccisi in Samaria dai Samaritani mentre erano diretti a Gerusalemme per una festività religiosa. Il procuratore Marco Antonio Felice riuscì nel 54 a catturare Eleazar e la sua banda, mandandoli in catene a Roma. Il primo procuratore della Giudea romana, Cuspio Fado (44-46), dovette dimettersi, poiché aveva sottovalutato il problema. Eliminò comunque il ribelle Teuda nel 46, citato negli Atti degli apostoli con una cronologia errata. Il suo successore Tiberio Alessandro (46-48) eliminò Giacomo e Simone, figli di Giuda il Galileo.
12 Fu colui che ordinò la lapidazione di Giacomo fratello di Gesù (detto il Giusto). Siccome aveva convocato il Sinedrio senza il permesso del procuratore romano Albino, in quel momento assente, il re Erode Agrippa II decise di deporlo e di sostituirlo con un altro sommo sacerdote, Jesus figlio di Damneo.
13 Di sicuro gli ebioniti (detti anche nazorei, nazarei, nazareni) possono essere considerati l’ultimo resto della comunità giudeo-cristiana che a Gerusalemme era guidata da Giacomo il Giusto. Rifiutavano la teologia paolina e, come testo base del loro cristianesimo, si riferivano al vangelo di Matteo. Quando Ireneo di Lione, in Contro gli eretici, dice che non avevano una conoscenza esatta del Cristo, intende appunto dire che non erano abbastanza “ellenici”. Il fatto che nell’Apocalisse di Pietro prendano le difese di quest’ultimo contro Paolo non vuol dire che la loro teologia fosse “petrina”, poiché già questa non era esattamente in linea con quella di Giacomo il Giusto.
14 Sotto Marco Aurelio la tassazione condurrà di nuovo gli Egiziani a una rivolta (139), la cui dura repressione causerà l’inizio del declino economico dell’Egitto.