Diario su Cristo. In che senso risorto?

image_pdfimage_print

20. Ha senso parlare di “Cristo risorto”?

Anche dando per certo che Gesù sia “risorto”, cioè abbia compiuto qualcosa di straordinario per un essere umano, è assolutamente ingenuo pensare che solo per questa ragione ci si debba sentire autorizzati a credere ch’egli in vita abbia compiuto tutti i prodigi o abbia detto tutte quelle frasi mistiche che i vangeli gli attribuiscono. Per una qualunque esegesi un minimo critica la base di partenza è quella di considerare Gesù un semplice uomo, che non fece e non disse nulla che andasse oltre le umane capacità di realizzazione e di comprensione. E se anche con la sua morte si poté constatare qualcosa di anomalo nella tomba, va tassativamente escluso che il suo corpo sia stato rivisto vivo. Come d’altra parte va considerata arbitraria l’idea di costruirci sopra un’ideologia religiosa che attribuisca al Cristo una natura divina nei confronti della quale si debba assumere atteggiamenti reverenziali. Noi siamo tenuti a liberarci da soli dei nostri problemi relativi a giustizia e libertà. Non siamo autorizzati ad andare oltre questo suo semplice insegnamento.

20.1. Nascita e morte non spiegabili

Supponiamo che la Sindone sia vera, un reperto autentico di duemila anni fa, e che l’immagine impressa sia quella di Gesù Cristo: cosa c’impedisce dal credere che, come una morte è avvenuta in maniera strana (per noi inspiegabile), così è stato anche per la sua nascita?

Supponiamo che Gesù sia una specie di “extraterrestre”. Generalmente nella nostra fantascienza questi soggetti vengono raffigurati in maniera negativa, come individui pericolosi, intenzionati a dominare il mondo e con criteri o metodi per noi incompatibili. Spesso ci comportiamo così, nel nostro immaginario collettivo, perché siamo abituati a vedere che chi dispone di potere politico, militare, economico, lo fa senza rispettare i diritti altrui, per cui applichiamo agli alieni quegli stessi atteggiamenti che abbiamo noi quando disponiamo di un certo potere.

Oppure ce li rappresentiamo in maniera altamente negativa, perché così chi ha più potere nel nostro pianeta, può pretendere cieca obbedienza per poterli combattere. Parliamo di “oggetti non identificati” proprio perché i potenti della Terra vogliono essere ben “identificati” come soggetti dal potere assoluto, come gli unici veri “salvatori” (che nei fumetti vengono chiamati “supereroi”).

Più in astratto potremmo dire che noi abbiamo una percezione preoccupata, anzi allarmata degli alieni, non solo perché siamo condizionati dai film di fantascienza, ma anche perché ci sentiamo appartenere esclusivamente al nostro pianeta, cioè non ci sentiamo “figli dell’universo”. Sulla Terra abbiamo la sensazione di sentirci abbandonati, sperduti nel cosmo, un puntino insignificante rispetto alla sua vastità infinita, vincolati a una galassia fra le miliardi esistenti. Forse in origine non avevamo questa convinzione: ci sentivamo in sintonia con tutto il cosmo osservabile, come parte organica di un tutto infinitamente più grande di noi.

L’extraterrestre Gesù non era però un “alieno”, ma un “essere umano”. Per dimostrare ch’era come noi, si è per così dire “incarnato”, nascendo da una donna qualunque. Se non avesse avuto una natura umana, avrebbe potuto nascere in maniera diversa, come uno dei tanti animali del pianeta o come nessuno di loro. Cioè avrebbe potuto avere sembianze molto diverse dalle nostre, oppure avrebbe fatto in modo di assumere le nostre in forma apparente, per non intimorirci (come in quella serie televisiva americana chiamata “Visitors”, della metà degli anni ’80).

Tuttavia, se fosse stato molto diverso da noi, chi gli avrebbe creduto? Chi l’avrebbe seguito in un progetto di liberazione nazionale? Come sarebbe stato possibile parlargli tranquillamente? Doveva per forza avere le nostre stesse sembianze e mantenerle quotidianamente, senza soluzione di continuità, altrimenti ci saremmo spaventati, o quanto meno sentiti in imbarazzo. Avremmo sempre potuto pensare che l’alieno aveva un secondo fine, a noi ignoto, e che l’avrebbe manifestato solo dopo aver acquisito un certo consenso popolare.

Bisogna anche dire che Gesù non era esattamente come noi, altrimenti sarebbe nato in maniera normale, attraverso un uomo e una donna, benché di questa strana nascita nessuno fosse consapevole, se non sua madre, che però non era stata in grado di spiegarsene le modalità.

Supponiamo quindi che Gesù sia nato soltanto da una donna, per “partenogenesi”, senza alcun intervento maschile, secondo una procedura che ci è del tutto ignota. Ha dovuto farlo per dimostrare ch’era umano come noi, anche se non lo era del tutto.

Ora chiediamoci: aveva a disposizione un’altra maniera per dimostrare che in lui c’era qualcosa in più, che a noi sfugge? Evidentemente no. Infatti se fosse nato da due persone comuni e poi avesse dimostrato d’essere una persona virtuosa, affidabile, in grado di diventare un leader per il suo popolo, cosa si sarebbe pensato? Che Dio l’aveva scelto tra tanti uomini, l’aveva cioè “adottato”, predestinandolo a un ruolo di spicco, autorevole, come già aveva fatto col Battista. In questo modo si sarebbe dovuta ammettere l’esistenza di un Dio d’importanza superiore a quella di Gesù, e quest’ultimo sarebbe apparso come una sorta di “figlio” prescelto dall’imperscrutabile volontà divina.

In fondo l’antica eresia adozionista diceva questo. La si sostenne sin dal tempo degli ebioniti, avversi alla teologia paolina, e ci si credette per molto tempo, anche da parte di persone influenti, come p.es. Paolo di Samosata, vescovo di Antiochia di Siria dal 260 al 272. Apparentemente sembrava una teoria ateistica, in quanto toglieva al Cristo qualunque aspetto “sovrumano”, ma nella realtà affermava il più tradizionale teismo, che noi invece oggi non possiamo assolutamente accettare. Infatti con la propria incarnazione umana Gesù ha dimostrato che non esiste alcun “Dio” che gli sia superiore. Per questo dobbiamo considerare Gesù un “ateo”.

È vero, a quel tempo in Palestina chi voleva fare politica l’associava sempre alla religione. Ma siccome in questo modo era impossibile ottenere l’unità di Giudei, Galilei, Samaritani, Idumei contro i Romani, a meno che un partito non s’imponesse con la forza, come fecero gli zeloti durante la guerra giudaica, ritengo che il Cristo avesse scelto apposta la soluzione atea o comunque laica, indifferente alla religione, mettendo le questioni politiche in primo piano e lasciando sullo sfondo quelle ideologiche.

Certo, Gesù è scomparso dal sepolcro in maniera strana, come mai prima nessuno aveva fatto, e sulla base di questa scomparsa chi l’ha tradito dopo morto, cioè anzitutto Pietro, ha inventato una nuova religione, meno politicizzata dell’ebraismo ma più universalista. E se anche supponiamo che sia nato in maniera strana nel ventre di una donna, bisogna comunque ammettere che tutto quanto di straordinario ha compiuto in vita va considerato falso o inventato. Nel senso che dalla nascita alla morte in croce non fece mai nulla per apparire diverso da noi. Tutti i racconti di miracoli e di guarigioni strabilianti e tutti i racconti di riapparizione del suo corpo redivivo vanno considerati una pura e semplice mistificazione, al punto che si è quasi costretti ad ammettere che i miticisti (o mitologisti) han tutte le ragioni di questo mondo a sostenere che un Cristo del genere non può assolutamente essere esistito. Detto altrimenti: anche ammettendo che Gesù sia scomparso in maniera strana o innaturale, non per questo si devono accettare tutti i miracoli che ha compiuto (come han fatto i redattori evangelici). Questa inferenza che si presume “logica”, è in realtà del tutto arbitraria.

Secondo noi, piuttosto che pensare all’esistenza di un Dio-padre che invia sulla Terra un Dio-figlio (in grado di compiere qualunque prodigio), è preferibile credere che non esista alcun “Dio” superiore al Cristo e che Cristo era, tutto sommato, un uomo come noi (o comunque non dimostrò neanche una volta che in sé vi erano aspetti che potevano trascendere la natura umana). Se non fosse stato così, riconoscersi tranquillamente in lui sarebbe stato impossibile. Qualunque aspetto di natura mistica o fideistica presente nei vangeli va reinterpretato in chiave laica.

Immaginiamo per un momento se i racconti di miracoli siano stati scritti per dimostrare ch’egli aveva una natura divina. Se davvero li avesse fatti, avrebbero profondamente intimorito i testimoni oculari (e reso ancora più scettico chi faceva fatica a credere nelle sue parole: non a caso nei vangeli lo consideravano un “indemoniato”). È puerile pensare che un leader politico si possa far valere esibendo i propri poteri sovrumani, schiacciando la libertà di coscienza dei propri seguaci, che invece devono sempre essere lasciati liberi di credere o di non credere in lui, nelle sue parole e nelle sue azioni.

Di fronte a una persona dai poteri straordinari chiunque poteva legittimamente pensare che Gesù avrebbe potuto fare qualunque cosa se solo avesse voluto. E così saremmo rimasti dei bambini, che devono sempre ricorrere all’aiuto di una persona più grande per risolvere i problemi più difficili, quelli che appaiono irrisolvibili. Alla fine, poi, non ci saremmo assunti alcuna responsabilità per il modo in cui l’hanno ammazzato. Avremmo sempre potuto dirgli: “Se davvero pensi d’avere poteri speciali, scendi dalla croce e fai vedere chi sei”.

Di sicuro, non esistendo alcun Dio onnipotente e onnisciente, dobbiamo scartare a priori la teoria secondo cui Dio-padre avrebbe inviato sulla Terra il proprio figlio unigenito per compiere un’opera redentiva, di cui il genere umano aveva bisogno sin dai tempi del cosiddetto “peccato originale”, quella colpa che ci ha fatti uscire dall’Eden (la foresta paradisiaca) e piombare nella savana, per andare poi a fondare delle società urbanizzate nei luoghi paludosi del pianeta, dove i fiumi esondano periodicamente. È tutta assurda l’idea che, siccome ci è impossibile tornare al comunismo primitivo, Dio-padre ci avrebbe inviato il figlio per non farci disperare, cioè per farci credere che dobbiamo conservare la speranza di tornare a essere normali in un’altra dimensione, di tipo “ultraterreno”. Della teologia paolina non possiamo salvare nulla.

Dobbiamo invece credere che l’operato di Gesù era finalizzato a ricreare sulla Terra ciò che abbiamo perduto e quasi dimenticato quando, circa seimila anni fa, siamo passati dal comunismo primordiale alle prime società schiavistiche. Egli si era “incarnato” nel momento in cui esisteva ancora una possibilità concreta per invertire il cammino intrapreso, una possibilità che avrebbe potuto essere realizzata dal popolo ebraico, se solo avesse seguito le sue indicazioni di metodo e di contenuto. Più che a “redimere” moralmente chi si sentiva peccatore, più che a “giudicare” chi aveva la pretesa di non sentirsi peccatore di nulla, Gesù era venuto per “liberarci” dalla schiavitù fisica, materiale. Si poneva come leader di un movimento di liberazione sociale e politico, ed è solo in questa maniera che possiamo riattualizzarlo.

Certo, ci possiamo chiedere perché abbia tardato così tanto a intervenire: in fondo lo schiavismo era nato 4.000 anni prima in Mesopotamia e in Egitto. È che gli uomini devono prima misurarsi con le loro forze. È giusto aspettare di vedere fin dove possono arrivare da soli. Anche noi lo facciamo coi nostri figli.

20.2. Una morte da reinterpretare

Anche supponendo che il Cristo sia davvero risorto, per quale ragione un credente deve arrivare a dire che di tutto quello ch’egli ha fatto e detto in vita, questa è stata la cosa più significativa? Cioè perché vincere la morte va considerato assolutamente più importante che costruire una società più libera e giusta?

Si rendono conto i credenti che Gesù Cristo avrebbe potuto infischiarsene dei gravi problemi sociali della Palestina, oppure affrontarli solo in chiave etico-religiosa, cioè in maniera astratta, ancorché universalistica, per poi morire di vecchiaia e risorgere ugualmente? Se si fosse comportato così, sarebbe stato apprezzato nella stessa identica maniera? Se per loro la cosa più importante è la resurrezione, che bisogno aveva Gesù di farsi ammazzare?

È vero, i credenti danno molta importanza alla morte violenta in croce, oltre che alla resurrezione, ma proprio quel tipo di morte indica ch’egli era un politico, non un semplice profeta morale.

Chiediamoci: se la resurrezione era inevitabile, e lui avesse trionfato politicamente, che interpretazione avrebbero dato i credenti alla sua vita? Come avrebbero potuto darne una di tipo religioso, visto che lui in vita non si era comportato come un credente ma come un ateo? Cioè il fatto che risorgesse dalla morte andava per forza interpretato in chiave mistica? Perché invece non chiedersi se questo tipo d’interpretazione non riflette una concezione alienata della vita? Per quale motivo facciamo così tanta fatica ad ammettere che l’essere umano non è semplicemente un ente di natura ma anche un ente universale? Ente universale vuol dire che la dimensione terrena e quella extraterrena non sono incompatibili o irriducibili o incomunicabili. La loro coesistenza andrebbe vissuta come una dimensione presente. È soltanto in una percezione alienata della realtà che appaiono separate.

20.3. Perché un Cristo divino viola la coscienza?

Supponendo che il Cristo fosse davvero stato il figlio unigenito di Dio, cioè supponendo che avesse una natura divina in via esclusiva (non in forma allegorica o metaforica) e avesse in qualche modo cercato di dimostrarlo con guarigioni e miracoli al di là delle capacità umane, non avrebbe forse, in tal modo, violato immediatamente la libertà di coscienza degli esseri umani, che vanno lasciati liberi di credere o di non credere? Quando esistono forzature o evidenze che inducono a credere in qualcosa (tanto più in qualcosa di sovrannaturale), gli esseri umani non vengono forse inevitabilmente ridotti a marionette o ad animali da addestrare?

Si noti peraltro che nei vangeli si parla sempre di un “maschio” nato da un altro “maschio”, senza alcuna presenza femminile ben distinta, se non quella vaga della “ruah” ebraica, poi trasformata in “pneuma” dai redattori cristiani. Non è forse questa una patente violazione del principio dell’uguaglianza di genere?

*

Certo, uno può chiedersi il motivo per cui un uomo, in grado di risvegliarsi nella tomba, non abbia cercato di evitare una morte così dolorosa e umiliante come quella della croce. Ma l’idea ch’egli l’abbia accettata per riconciliare Dio-padre in collera col genere umano peccatore, facendo cioè vedere, col proprio sacrificio a nostro favore, che, nonostante tutto, l’umanità meritava ancora di esistere, non è un’idea più nobile di quella che laicamente egli voleva dimostrare, e cioè che gli uomini devono liberarsi da soli delle loro contraddizioni: non possono aspettare che qualcuno lo faccia per loro.

Non è singolare che nella teologia cristiana si dica che il sacrificio di Cristo ci ha definitivamente salvati dall’ira divina, quando proprio il fatto di non aver accettato la sua proposta di liberazione ci ha condannato a vivere un’esistenza infernale? Perché i cristiani dicono che non potrà più esserci un sacrificio più grande del suo, quando in questi ultimi due millenni la stragrande maggioranza dell’umanità ha sempre compiuto sacrifici inauditi per sopravvivere, cioè per non estinguersi di fronte alle proiezioni di potenza delle varie civiltà antagonistiche? Davvero il Cristo era destinato a essere trasformato da liberatore a redentore? da politico a teologico? da umano a divino? Perché, se non lo fosse stato, non l’avremmo comunque considerato una persona eccezionale? degna d’essere imitata, facendo cose anche più grandi delle sue?

*

Anche supponendo che Gesù Cristo sia stato un extraterrestre dai poteri sovrumani, di sicuro, a contatto con gli umani, non avrebbe potuto esibirne neanche uno. A meno che non avesse voluto violare la libertà umana di credere o di non credere.

Tutto quanto di straordinario ha compiuto, che va ben oltre le capacità umane, dipende dal fatto che i redattori avevano accettato l’interpretazione petrina della tomba vuota come resurrezione. È evidente che se uno da morto è in grado di tornare in vita, allora da vivo sarebbe stato in grado di fare qualunque cosa. Ecco perché tutto quanto ha compiuto di straordinario va considerato inventato. Spesso anzi viene utilizzato per mistificare eventi realmente accaduti.

E se Gesù fosse stato un essere umano come noi, seppur proveniente da una dimensione cosmica che al momento ci è ignota; se fosse venuto semplicemente a dirci come eravamo in origine, prima che iniziassimo a odiarci a partire dalla nascita dello schiavismo1; se non esistesse nessun “regno” da costruire, poiché non vi è nessun “sovrano” cui obbedire; se l’unico compito che abbiamo, sul nostro pianeta e nell’universo, è quello di essere umani e naturali, di vivere in pace con gli altri, di rispettare la libertà di tutti; se ci accorgessimo che non esistono religioni o ideologie che demandano ad altri questo compito o che lo regolamentano con leggi scritte; se scoprissimo che l’unico vero miracolo dell’universo siamo noi stessi e che non ha alcun senso essere credenti o non credenti in qualcosa che non esiste o che pensiamo debba per forza esistere. Se tutto questo fosse vero, come ci comporteremmo? Continueremmo a restare divisi, fermi nelle nostre convinzioni? Cosa penseremmo? Che è morto per niente, tanto noi continueremo a restare le bestie di sempre? E che se non è lui a imporsi, noi non smetteremo di essere delle bestie?

*

Le tesi evangeliche (canoniche e apocrife) sono stereotipate, poiché Gesù appare come un profeta che predica un regno non per questo mondo. Tutti i redattori, sulla base della teologia petro-paolina, han trasformato il Cristo politico liberatore in un Cristo teologico redentore.

Queste cose dovrebbero essere pacifiche. Invece dai commenti che leggo in vari gruppi di Facebook dedicati al Cristo, mi sembra ancora di essere all’età della pietra. Non si discute sulle idee, ma si comincia subito a dire che quel reperto non è autentico, che quel redattore o apostolo ha un nome fittizio, che le date sono tutte fasulle, che non abbiamo certezza di niente, che Gesù Cristo non è mai esistito e altre amenità del genere, come se tutti noi fossimo di professione storici o archeologi, biblisti, filologi, conoscitori di tutte le lingue antiche, in grado di spaccare il pelo in quattro come fanno gli esegeti tedeschi, i migliori al mondo.

Sembra che tutti abbiano letto la monumentale opera di Pesch sul protovangelo o quella di Bultmann sul IV vangelo. Quindi perché non usare più attenzione alle proposte di discussione, lasciando perdere le prime obiezioni che ci vengono in mente e concentrandosi su ciò che ipoteticamente potrebbe contenere un qualche elemento di attendibilità?

Insomma lo vogliamo rivalutare questo Gesù Cristo, eliminando le incrostazioni mistiche che si sono formate in 2.000 anni di falsità, oppure preferiamo buttare via l’acqua sporca col bambino dentro? Ha senso iscriversi a questi gruppi soltanto per essere confermati nelle idee che già si hanno?

20.4. L’esigenza di un aldilà

Sarà capitato a chiunque, soprattutto se ha una certa età, di veder morire un parente stretto molto molto caro. E di desiderare di rivederlo vivo. Magari non proprio così come se ne è andato, ma più giovane o più bello o più sano, o con un carattere più dolce, più sereno. Anzi, quanto più l’evento è stato recente, tanto più si è sperato di poterlo rivedere. Magari per chiedergli scusa di qualcosa, o per fargli qualche domanda importante, rimasta senza risposta. E si è sperato di poterlo fare in un rapporto a tu per tu, o anche da lontano, o in un sogno. E si è pianto, anche tanto. E ci si è immaginati di vedere un corpo non esattamente uguale al nostro, ma qualcosa di etereo, di impalpabile, con cui però poter comunicare tranquillamente.

Tutti questi desideri o queste sensazioni ci fanno capire che non esiste un aldilà e un aldiquà, ma un’unica dimensione in due forme diverse. Siamo esseri terreni e allo stesso tempo universali.

Ma perché tutti questi desideri sono rimasti insoddisfatti? Proprio perché un abisso li separa dalla realtà. Ed è un bene soprattutto per noi, perché moriremmo di paura se rivedessimo i nostri cari. Se ci apparissero in momenti inaspettati, il cuore non reggerebbe l’emozione, ci prenderebbe una sensazione di panico. Anche il solo pensiero che potrebbero farlo, ci farebbe sentire costantemente angosciati. Oppure vorremmo morire anche noi per raggiungerli.

In ogni caso la nostra coscienza verrebbe subito violata, perché penseremmo d’essere continuamente sorvegliati, anche nei nostri pensieri, nelle nostre intenzioni. Ad ogni problema di una certa gravità chiederemmo un aiuto ultraterreno. Smetteremmo di crescere, di assumerci delle responsabilità personali. Ci vanteremmo di avere un rapporto speciale con un’entità divenuta extraterrestre.

Questo spiega il motivo per cui tutti i racconti evangelici di riapparizione di Gesù sono pie invenzioni. Come lo fu l’apparizione di Gesù a san Paolo. Come lo sono tutte le apparizioni della Vergine nei vari luoghi di culto. Un abisso invalicabile separa noi da loro, come giustamente disse Luca nella parabola del povero Lazzaro e del ricco epulone.

20.5. I racconti di riapparizione del Cristo

Un credente pensa che i racconti di riapparizione del Cristo siano autentici. Un laico invece li ritiene inventati e non li prende neanche in considerazione. Dove sta la verità in queste due posizioni estreme. Nel mezzo, dicevano i latini.

Per capirci prendiamo il secondo finale del IV vangelo, cioè il cap. 21, scritto da un anonimo molto vicino a Giovanni perché conosce bene la sua rivalità con Pietro.

Facendo credere che Gesù è risorto ed è riapparso, l’autore mostra d’aver accettato, seppur a malincuore, la teologia paolina, per cui può pensare che il suo racconto supererà il vaglio della censura. Però dietro questa finzione letteraria (che implica anche l’impronunciabilità del nome di Giovanni) vuol dire lo stesso qualcosa di scomodo.

Anzitutto dice che i discepoli più importanti erano 7 e non 12, e tra loro spiccavano Pietro il galileo e Giovanni il giudeo. Nessuno di loro era stato capace di raggiungere l’obiettivo del messaggio insurrezionale di Gesù (non pescano nulla). Pietro neppure lo riconosce: dev’essere Giovanni a farglielo capire.

Quando finalmente anche Pietro lo riconosce, si vergogna della propria spavalderia (la nudità), si mette una veste e cerca di raggiungerlo. Ma il dialogo tra i due mostra tutti i limiti di Pietro. Infatti Gesù gli dice: “Quand’eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” (Gv 21,18).

Che cosa voleva dire? Due cose: 1) di fronte alla tomba vuota passò l’interpretazione petrina della resurrezione, con cui si chiedeva al movimento nazareno di attendere passivamente il ritorno immediato e trionfale del Cristo; 2) a causa della mancata parusia, fu la teologia di Paolo a prevalere su quella di Pietro.

Per ben tre volte Gesù, rivolgendosi a Pietro, è costretto a chiedergli se è disposto davvero a seguirlo di nuovo nell’istanza politica originaria, quella di liberare Israele dai nemici che lo schiavizzano. Pietro si pente di ciò che ha fatto e decide di ricominciare tutto da capo. Poi però chiede a Gesù perché non ha rivolto la stessa domanda a Giovanni. La risposta è molto chiara: lui non aveva tradito. Per questo il redattore anonimo dice che Giovanni non sarebbe mai morto.

*

Perché tutti i racconti evangelici di riapparizione del Cristo sono falsi o pie invenzioni?

Per due motivi: o Gesù non è mai morto sulla croce ed è stato rianimato nel sepolcro; o non era lui a essere stato crocifisso.

Se invece diamo per scontato ch’era proprio lui e ch’era proprio morto, allora la motivazione è un’altra.

1- Il discepolo deve assumersi le sue responsabilità: se non sei stato capace d’impedire la crocifissione, che diritto hai di rivedere vivo il crocifisso?

2- Anche supponendo che Gesù volesse perdonare coloro che non sapevano cosa facevano, non avrebbe comunque potuto manifestarlo.

Lui aveva semplicemente rappresentato una buona occasione per liberarsi di un nemico esterno (i Romani) e di un nemico interno (i collaborazionisti). Una volta rifiutata la proposta, gli uomini devono arrangiarsi da soli a cercarne un’altra. Se l’avessero rivisto, sarebbero stati indotti a credere che su questa Terra non è possibile realizzare alcuna società libera e giusta.

Che cos’è quindi il cristianesimo? È una forma etico-religiosa di stoicismo, in cui il credente si sforza di essere virtuoso in attesa di poter ottenere come premio un paradiso ultraterreno.

Quindi per recuperare il vero messaggio umano e politico del Cristo, bisogna anzitutto superare il cristianesimo.

20.6. Le contraddizioni nel Cristo redivivo

I racconti di riapparizione sono un controsenso anche perché sono uno diverso dall’altro.

Nel vangelo originario di Marco non esiste nulla di questo genere, in quanto Mc 16,1-8 (influenzato dalla teologia petrina) termina con la fuga timorosa delle donne che trovano il sepolcro vuoto (a testimonianza che l’idea di interpretarlo come “resurrezione” fu solo di Pietro). Nella seconda chiusura (influenzata dalla teologia paolina) Gesù appare alla Maddalena, che però non viene creduta, come neppure altri due apostoli dopo di lei. Alla fine si manifesta agli Undici, che finalmente si convincono. Devono però andarsene dalla Palestina (poiché l’assunzione del Cristo lo esige) e predicare il vangelo nel mondo.

In Matteo (che, come al solito, copia da Marco) gli apostoli devono tornare in Galilea, dove lui li attende sul Tabor: qui alcuni di loro credono, altri dubitano. La missione è comunque quella di predicare il tutto il mondo: col che si rinuncia definitivamente all’idea petrina di parusia immediata e trionfale. Di suo, l’autore aggiunge che le autorità giudaiche corrompono finanziariamente i soldati romani, i quali devono sostenere la versione secondo cui i discepoli di Gesù avevano trafugato di notte il suo corpo per far credere ch’era risorto.

In Luca le apparizioni avvengono solo a Gerusalemme e nei dintorni. Protagoniste sono prima di tutto tre donne (Maddalena, Giovanna e Maria di Giacomo), che dichiarano di aver visto due uomini angelicati nei pressi del sepolcro vuoto, ma gli Undici non credono nella versione della resurrezione. Pietro però, unico tra gli apostoli, vuole sincerarsi da solo, e nel sepolcro vede le bende per terra (di cui non si spiega la natura) e resta stupito. La presenza di Giovanni è stata rimossa e con lui anche quella della sindone. Nel racconto, aggiunto successivamente, dei discepoli di Emmaus, questi lo chiamano Gesù il Nazireo (24,19), lasciando così credere che la provenienza da Nazareth non c’entrasse nulla con l’appellativo che lo identificava.2 Questi discepoli avvisano gli Undici, i quali affermano che Gesù è apparso a Pietro (infatti è lui a parlare per primo di “resurrezione” contro la tesi del “trafugamento”). Luca però sostiene che non tutti gli apostoli credettero a Pietro (di sicuro non Giovanni e forse neppure il fratello Giacomo, in quanto dovevano aver capito che con la parola “resurrezione” si sostituiva la parola “insurrezione”).3 In ogni caso Luca fa passare gli scettici nei confronti di Pietro per dei miscredenti, per ottusi che negano l’evidenza. Chi crede invece dovrà predicare in tutto il mondo, partendo da Gerusalemme, dove gli Undici tornano a frequentare il Tempio (!) e da dove potranno andarsene solo dopo la Pentecoste: sia questa che l’ascensione di Gesù sanciscono, secondo Luca, la fine dell’idea petrina di parusia immediata (gli Atti sono scritti secondo le direttive della teologia paolina, avversa persino a quella petrina).

In Giovanni le tradizioni leggendarie sono due: una è radicata a Gerusalemme, dove Gesù appare alla Maddalena, che pensa al trafugamento, anche se in un altro racconto sembra che la tesi sulla resurrezione sia stata elaborata da lei, non da Pietro. Bisognerebbe però fare dei distinguo: una cosa infatti è credere nel Cristo risorto come “ideale simbolico” per continuare il suo progetto di liberazione nazionale; un’altra, molto diversa, è credere in una resurrezione fisico-realistica, e in virtù di essa attendere passivamente che il Cristo torni in maniera trionfale, portando a compimento ciò che aveva iniziato.

In un altro racconto il IV vangelo fa vedere che Tommaso non crede alla versione petrina. E in un altro ancora si colloca un’apparizione sul lago di Tiberiade, dove gli apostoli sono sette e forse non tutti facenti parte dei Dodici. Il primo a riconoscerlo è Giovanni, mentre Pietro è l’ultimo, poiché gli viene fatta fare la parte di uno che di Gesù (politicamente inteso) non aveva capito niente, per cui deve tornare alla sua sequela.

Il vangelo apocrifo di Tommaso parteggia per Giacomo il Minore contro quella tradizione giovannea che attesta il primato di Pietro alla guida degli apostoli dopo la morte di Gesù (un primato che però lo stesso Giovanni, quello autentico, non quello manipolato, sconfessava apertis verbis).

Questi racconti sono tutti falsi, ma servono a far capire che per credere nel Cristo risorto bisogna rinunciare alla ragione ed entrare nel mondo della fede. Il movimento cristiano sostituì la politica con la religione, e in effetti l’artefice principale di questa operazione mistificante fu Pietro: di qui il suo “primato”.

Si badi, non è che qui si voglia accusare Pietro d’essere stato un traditore tanto quanto Giuda. Probabilmente di fronte a una sconfitta così ingloriosa del proprio leader, è abbastanza naturale che un discepolo s’inventi delle cose mai esistite o non dimostrabili, semplicemente per rendere meno tragici gli avvenimenti, per rendere più sopportabile, sul piano etico, lo svolgimento dei fatti. La tesi della resurrezione può anche essere servita per giustificare la propria pusillanimità, le proprie vantate sicurezze, la propria ostentata spavalderia. In fondo siamo tutti esseri umani e sarebbe assurdo mettersi qui a fare i giudici, quando nessuno di noi può effettivamente calarsi nei panni di personaggi vissuti due millenni fa e, per di più, in situazioni politicamente esplosive.

Tuttavia, se proprio non si voleva fare alcuna autocritica, si sarebbe dovuto evitare di far credere che tutto era stato previsto dalla prescienza divina, ovvero che Gesù era morto secondo un imperscrutabile disegno divino: un disegno rassicurante, con cui Dio padre poteva perdonare le colpe di tutti i discepoli del proprio figlio, anche di quelli più timorosi e un po’ vigliacchi4, facendo vedere che il figlio, pur ingiustamente condannato, ha voluto mostrarsi di nuovo vivo, senza che nessuno lo obbligasse a farlo.

Che senso aveva falsificare le cose in termini così assurdi? Per non darla vinta ai sacerdoti giudaici? Che senso aveva affermare che a un “dio” l’odio del mondo si può riservare qualunque trattamento sul piano fisico, tanto alla fine tornerà sempre vivo, più forte di prima, in grado di vincere e di giudicare chiunque? Una tale impostazione della tragedia del Cristo risente di troppe influenze pagane per essere vera. Infatti esistono molti miti precristiani che parlano di dèi morti e risorti, sia nel mondo egizio che in quello greco e in altri ancora. Ciò che della teologia petrina non si può perdonare è l’aver fatto della tesi della resurrezione un mezzo per dimostrare che, siccome dal male può anche nascere il bene, l’entità del male va assolutamente ridimensionata. La storia invece si è incaricata di dimostrare che quella fu una grave occasione perduta, con cui si procrastinò per alcuni secoli il crollo dell’impero romano.

Insomma, se davvero Gesù fosse ricomparso ai suoi discepoli più stretti, avrebbe anzitutto detto di non creare nessuna nuova religione, poiché non era stato certamente per questo che Pilato l’aveva giustiziato. A quel tempo l’impero, Roma e tutte le altre città pullulavano di infiniti culti religiosi.

20.7. Gesù e la Maddalena

Quel “Noli me tangere” in Gv 20,17 mi ha sempre un po’ turbato, soprattutto nel suo originale greco, che dovrebbe essere tradotto letteralmente: “non continuare a toccarmi” o “smetti di stringerti a me”. La CEI naturalmente ha preferito l’espressione più pudica: “Non mi trattenere”. Haptô è un verbo molto particolare: non vuol dire solo toccare in senso sessuale, ma anche accendere, infiammare, aderire strettamente…

Chi ha inventato di sana pianta quel racconto doveva conoscere la Maddalena molto bene e sapere del suo debole sentimentale per Gesù, che lui non poteva ricambiare, avendo fatto il voto di nazireato. Il racconto è strano anche perché appare molto intimistico, al punto da risultare fuori luogo in un vangelo così politicizzato come il IV (almeno nella sua versione originaria).5

Far dire a Gesù una frase del genere sembra addirittura presumere che lei fosse autorizzata a “toccarlo” quand’era vivo. Ma nei vangeli l’unica donna che può pretendere una tale confidenza è la sorella di Lazzaro, quando usa il vasetto profumato, in un frangente così tragico che lui finì per commuoversi.

Dunque le due Marie coincidevano? Una giudea di Betania e l’altra galilea di Magdala? Se erano due persone diverse, allora forse il racconto vuol soltanto dire che la Maddalena avrebbe voluto “toccarlo”, cioè sposarlo, senza però riuscirvi.

L’identificazione delle due Marie è stata esplicitamente rigettata dalla Chiesa cattolica solo nel 1969, durante il Concilio Vaticano II.

Per il resto sappiamo che nei Sinottici, a differenza del IV vangelo (dove viene esaltata), la figura della Maddalena è spesso messa in cattiva luce: è addirittura paragonata a una prostituta, se non a una super indemoniata.

Quindi si può presumere che tra lei e Pietro ci sia stata una forte incompatibilità di carattere o una rottura di tipo ideo-politico, come risulta in alcuni vangeli apocrifi (p.es. in quello della Maddalena, dove la protagonista viene detestata non solo da Pietro ma anche da Andrea). Non è però da escludere che tale antagonismo fosse soltanto una rappresentazione simbolica della forte rivalità esistente tra le varie comunità cristiane.

D’altra parte già al tempo di Paolo non esistono più i Dodici. In Gal 1,18s. egli incontra a Gerusalemme solo Pietro e Giacomo il Minore. Al Concilio di Gerusalemme, oltre a loro due, vede anche Giovanni Zebedeo, che però non dice una sola parola. Praticamente vent’anni dopo la morte di Gesù il movimento nazareno non esisteva più e quello “cristiano”, guidato da Pietro, Giacomo fratello di Gesù e Paolo, era tutta un’altra cosa: il primo sognava una riscossa del Gesù redivivo contro Romani e sadducei e non si spiegava la mancava parusia; il secondo cercava solo un compromesso coi sadducei e farisei e non aveva ambizioni eversive antiromane; il terzo era sì disposto a cercare un compromesso con Roma, ma non con l’establishment giudaico, per cui preferì rivolgersi ai pagani, posticipando la parusia alla fine dei tempi.

Da ultimo vorrei sapere che cosa ha frenato l’autore del IV vangelo dal citare il nome della donna che accompagnò la Maddalena al sepolcro. Secondo i Sinottici dovrebbe essere o Salome o Maria di Cleofa, madre di Giacomo il Minore (Mt 28,1; Mc 16,1). Non ha citato quest’ultima perché se avesse scritto ch’era la sorella di Maria, madre di Gesù, avrebbe forse dovuto negare la tradizione petropaolina che considerava Giacomo non un cugino ma proprio un fratello di Gesù?

Note

1 Si basi che il genere umano non è mai uscito dallo schiavismo, avendone solo modificato le forme e i modi.

2 Alcuni esegeti sostengono che l’etimologia della parola “nazareno” significhi “guardiani dell’alleanza”, cioè “coloro che proteggono il nascosto”, che in sostanza sarebbe un altro nome degli esseni. Tra questi “nazireo” corrisponde anche a “maestro”.

3 P. Ricoeur sostiene che la risurrezione è una metafora, il cui significato non è di dire una cosa diversa dalla realtà, ma di dire, della realtà, quello che non si può dire in modo diverso. Questo è un ragionamento sbagliato, poiché il concetto di “resurrezione” è in realtà un’interpretazione arbitraria di un evento reale (la tomba vuota), di fronte al quale nessuno poteva essere sicuro di niente. Anche perché l’idea che il Cristo sia riapparso è del tutto inventata. Il movimento nazareno non aveva bisogno di una metafora ma di un leader che sostituisse Gesù sul piano politico.

4 A ciò l’apostolo Paolo aggiungerà che Dio, col sacrificio del figlio, voleva in realtà perdonare tutte le colpe dell’intero genere umano, che dai tempi del peccato originale non è più in grado di compiere il bene.

5 Non a caso il vangelo apocrifo di Filippo arriva a dire: “La compagna del Salvatore è Maria Maddalena. Cristo l’amava più di tutti gli altri discepoli e soleva spesso baciarla sulla bocca”. Il che contraddice il voto di nazireato. Ma è difficile pensare che un ebreo, in una società moralista come quella, potesse fare in pubblico una cosa del genere.

image_pdfimage_print

Lascia un commento

Translate »