I vangeli possono essere letti in maniera metalinguistica, andando a cogliere, nei vari episodi, gli agganci a questo o quel genere letterario. Vediamo ora le affinità col genere «fantasy», dopodiché passeremo al genere «fantastico» o «surreale».
Fantasy
I temi tipici del genere letterario detto «fantasy» si ritrovano negli stessi vangeli cristiani, salvo la distinzione tra invenzione e falsificazione, essendo più che altro i vangeli, che pur non disdegnano l’invenzione, come nel caso dei racconti di resurrezione, una falsificazione di episodi realmente accaduti.
Il «fantasy» in fondo è solo un gioco innocente, in cui al massimo possono celarsi dei pregressi un po’ traumatici, che lo scrittore ha saputo sublimare mettendosi appunto a scrivere fiumi di parole, spesso con degli intrecci assurdamente arzigogolati. I vangeli invece sono un’opera di finissima mistificazione, in cui ogni parola è stata sapientemente pesata.
Tuttavia può apparire curioso rilevare come possano esistere così tante analogie. Vediamo le principali.
La magia, nell’uso della mente, del corpo, degli oggetti. Anche Cristo risana in maniera sovrannaturale molti malati giudicati inguaribili, semplicemente toccandoli con un dito o esigendolo con un atto di volontà. Lo vediamo anche moltiplicare pani e pesci, camminare sulle acque, placare una tempesta sul lago di Galilea con un comando perentorio, trasfigurarsi sul Tabor, riapparire dopo morto…
La lotta tra il bene e il male, considerando, quest’ultime, come due realtà ipostatizzate, immodificabili. Anche nei vangeli molti gruppi politici e/o religiosi, come p. es. i sadducei, gli erodiani, i farisei, i sommi sacerdoti…, vengono ritenuti capaci di grande perfidia, non hanno alcuna possibilità di compiere azioni positive in autonomia o comunque la loro capacità di bene, al cospetto di Gesù, è limitatissima, proprio perché rappresentano sempre e comunque i «nemici» da biasimare, da criticare, da condannare sul piano morale e da non prendere mai come esempio di applicazione della legge, delle regole della civile convivenza.
L’ambientazione vaga e indefinita, specie sul piano cronologico. Nei Sinottici tutta l’attività di Gesù è racchiusa nell’arco di un anno, ma nel vangelo di Giovanni gli anni della predicazione sono almeno tre. Incerta è la data di nascita del messia; impreciso il luogo di nascita: Betlemme o Nazareth; oscura l’origine paterna; frequentissimo l’uso dell’espressione «in quel tempo», analogo a quello fiabesco di «c’era una volta»; molto sommarie le descrizioni dei luoghi.
Il frequente ricorso alla suspence e ai colpi di scena. Uno stile, questo, molto evidente nei racconti di guarigione, il cui finale lascia gli a-stanti senza parole.
Il linguaggio ricco di figure retoriche. Nei vangeli le parabole eccellono in questo, ma lo si ritrova anche nei discorsi alle folle (p. es. là dove Gesù parla di «sale e luce») e persino nel memoriale eucaristico cannibalico (p. es. pane-corpo, vino-sangue).
L’obbligo di risolvere quiz e indovinelli da parte dell’eroe protagonista: cosa che si verifica puntualmente nei vangeli là dove i farisei sottopongono a Gesù tutta una serie di quesiti e domande di natura politica, allo scopo di trarlo in inganno, di coglierlo in fallo, per poi poterlo denunciare.
Il riconoscimento, allorquando l’eroe protagonista in incognito o in privato rivela la sua vera identità, oppure questa viene manifestata da altri in pubblico. Anche Gesù chiede ai risanati di non rivelare che è stato lui a guarirli e, se questi vengono esorcizzati, lo vieta espressamente ai demoni, che appaiono ben consapevoli della sua natura divina. E tuttavia, sapendo che gli uomini sono deboli per natura e che si esaltano quando pensano d’aver trovato un supereroe, egli prevede che faranno il contrario di quanto chiesto loro. Anche ai discepoli impone di non rivelare pubblicamente che è lui il messia e solo a quelli più fidati fa capire d’essere più di un uomo, d’essere il figlio unigenito di dio, in grado di ricevere da dio stesso, al momento del battesimo e della trasfigurazione, la testimonianza che la vantata figliolanza divina è del tutto legittima e veritiera: cosa che gli riconosce personalmente anche il Battista, l’ultimo grande profeta ebraico.
Il viaggio verso un luogo predestinato. È vero che Gesù si muove in varie direzioni, ma la principale resta indubbiamente quella verso Gerusalemme, dove sa che l’attende un destino di morte e di resurrezione, un destino di sconfitta e di vittoria: egli è sicuro di vincere, anche se la maggioranza del suo popolo non vorrà riconoscerlo. Non ha paura della morte, anzi l’affronta con molto coraggio, come un vero eroe che sa di essere invincibile.
La ricerca di un oggetto prezioso o magico, simbolo di grande valore, da cui dipende la salvezza di un personaggio o di un’intera collettività. Questo oggetto nei vangeli è chiaramente la grazia divina che induce ad aver fede in Gesù come essere sovrumano, capace addirittura di vin-cere la morte su di sé; la fede in lui come figlio di dio, in grado di compiere opere prodigiose, sovrannaturali. Il Cristo chiede di credere in lui come soggetto trascendente in forza delle opere straordinarie che compie e che pur non vorrebbe compiere, temendo che il consenso ricevuto sia soltanto relativo ai favori concessi o alle dimostrazioni eccezionali delle proprie capacità. Tuttavia, per dimostrare che non vuole abusare della propria grandezza, si lascerà uccidere senza reagire, anche se non potrà impedire a se stesso di risorgere. Una volta risorto, per dimostrare ancora la sua grandezza d’animo, non farà strage dei suoi nemici, ma a tutti darà il tempo necessario per ravvedersi delle proprie colpe.
La riconquista del potere da parte dell’eroe protagonista. Inizialmente gli apostoli hanno pensato che ciò sarebbe accaduto molto presto, mediante una trionfale parusia che avrebbe sancito definitivamente la sua superiorità sui nemici. Poi cominciarono a dilazionare nel tempo la conquista del potere, finendo col credere che il ritorno glorioso del Cristo neppure lui poteva deciderlo, ma solo chi gli era superiore, e cioè dio-padre.
Dunque, come si può facilmente notare, le analogie tra il genere «fantasy» e i vangeli non sono poche. Vi sono tuttavia altre due differenze non meno significative di quella detta nella premessa: nei vangeli l’eroe può vincere sui suoi nemici soltanto e unicamente morendo, poiché solo così potrà definitivamente dimostrare, risorgendo, d’essere il figlio di dio, cioè superiore alla morte in quanto essere invulnerabile.
La seconda differenza sta nel fatto che nei vangeli Gesù, una volta risorto, non ha fretta nel voler compiere la sua idea di giustizia (il cosiddetto «giudizio universale»), poiché vuole offrire agli uomini un lunghissimo tempo per pentirsi del male compiuto. Nei racconti di fantasy invece l’autore non ha tutto questo tempo da aspettare, e il lettore meno di lui: le storie devono avere un inizio e, in tempi ragionevoli, una fine.
Fantastico o Surreale?
Definiamo le caratteristiche fondamentali del genere «fantastico» o «surreale» e vediamo se vi sono corrispondenze nei vangeli cristiani.
Viene narrata una vicenda che ha la pretesa di apparire vera, reale o comunque verosimile, anche in virtù di taluni particolari, relativi ad ambienti o personaggi, che offrono l’impressione di una qualche attendibilità storica.
In tale vicenda vi sono degli episodi che contengono aspetti irreali o fantastici, nel senso che la realtà tende a sfumare nella finzione.
I fatti non possono essere interpretati in maniera del tutto razionale e il lettore, alla fine del racconto, si trova come spaesato, confuso.
Il narratore però vuole convincere il lettore a considerare autentici anche i fatti che gli possono apparire più incredibili, la cui verità non sta in se stessi ma in qualcosa a loro superiore, umanamente poco comprensibile.
Com’è facile notare, tutte queste caratteristiche si applicano perfettamente ai vangeli, specie a quei racconti in cui più risaltano aspetti o situazioni di tipo sovrumano: miracoli, guarigioni, resurrezione con apparizione del risorto, ma anche quando il protagonista fa delle profezie su di sé, che poi si realizzeranno puntualmente.
Che cosa può aver indotto gli evangelisti a elaborare una descrizione fantastica della vita di Gesù? Perché non si sono limitati a farne una di tipo realistico? Uno dei motivi, forse il più banale, sta nel fatto che quando si comincia a dare delle spiegazioni surreali a un episodio ritenuto decisivo, poi, per restare coerenti con l’idea di fondo, si è indotti a usare lo stesso tipo d’interpretazione anche per molti altri fatti meno importanti.
La prima spiegazione surreale che la comunità cristiana ha dato della vita di Gesù non riguarda la sua vita ma la sua morte. Di fronte al fatto strano, misterioso, della tomba vuota si è fatta passare come vera la sola interpretazione della resurrezione, che venne ideata per la prima volta da Pietro.
Accettata questa, che incontrò probabilmente non poche contestazioni, tutte le altre vennero di conseguenza: un uomo che si «desta» dalla morte può aver fatto in vita qualunque cosa. Si passò così da una mistificazione a un’altra, al punto che alla fine diventava quasi irrilevante essere convinti che il Cristo fosse risorto perché faceva miracoli o il contrario, ch’egli aveva potuto fare miracoli prodigiosi proprio perché era risorto. Un uomo che vince la morte, mostrando d’essere un dio, può tranquillamente aver vinto, in vita, ogni malattia e superato qualunque ostacolo materiale e naturale. Che poi abbia accettato di farsi crocifiggere, questo è un altro discorso.
A questo punto vien da chiedersi se negli episodi in cui appaiono i suoi poteri miracolosi possa essere contenuto qualche elemento di verità o se invece non siano tutti quanti completamente inventati. Ebbene, se accettiamo l’idea che un racconto evangelico miracoloso non possa contenere alcun elemento di verità, l’interpretazione si ridurrà a ben poca cosa, in quanto si concentrerà inevitabilmente sulle sole contraddizioni del racconto, per mostrarne appunto l’inattendibilità.
Tuttavia noi, di fronte a racconti di questo genere, non dobbiamo comportarci come investigatori del crimine o come saccenti eruditi. Dobbiamo soltanto cercare di capire il motivo per cui, ad un certo punto, invece di raccontare tutta la verità, si sia preferito trasformarla in finzione.
I vangeli infatti avrebbero potuto essere scritti in maniera realistica, raccontando la vita di Gesù per quello che effettivamente era stata, eventualmente aggiungendo solo nella parte finale l’interpretazione fantastica della tomba vuota, quella petrina della resurrezione. Che cosa sarebbe cambiato? Per quale motivo gli evangelisti hanno avvertito il bisogno di mistificare non solo la morte di Gesù, ma anche la sua stessa vita? Inserendo continuamente elementi surreali in una descrizione realistica, non rischiavano forse di far apparire assurdo tutto il vangelo?
Vien quasi da pensare che la decisione di mistificare anche la vita di Gesù non sia stata una cosa di cui si poteva fare a meno: la strada era obbligata. Ma in che senso? Il motivo questa volta non è banale: la vita di Gesù non è mai stata quella di un uomo religioso, ma quella di un uomo politico e, per giunta, di uno che voleva liberare la Palestina dai romani. La sua vita era l’esatto opposto di quel che si è voluto rappresentare nei vangeli.
Ora, se si fosse stati realistici nel descrivere questa vita, limitandosi a fantasticare sulla sua morte, che impressione si sarebbe lasciata al lettore?
Uno avrebbe potuto pensare che se era davvero risorto, prima o poi sarebbe dovuto ritornare per completare ciò che aveva iniziato, e siccome tutta la sua vita era stata di natura politica, il ritorno (la parusia) avrebbe dovuto avere caratteristiche analoghe.
Un altro invece avrebbe potuto pensare che la comunità, trovandosi orfana e sconfitta, s’era illusa di poter sopravvivere, di poter continuare la missione di lui in chiave mistico-poetica, inventandosi un’interpretazione del tutto fantasiosa della sua fine (in tal senso lo stesso racconto della tomba vuota rientrerebbe nel genere surreale).
Qualcun altro, infine, avrebbe potuto chiedersi il motivo per cui, di fronte alla cattura di Gesù, e al suo processo davanti alle folle di Gerusalemme, il movimento nazareno, che pur in quella occasione stava per compiere un’insurrezione armata, non fece assolutamente nulla per liberarlo.
Forse è stata quest’ultima possibile lettura dei fatti che ha indotto gli evangelisti (espressione redazionale di una comunità) a mistificare l’intera vita di Gesù, mirando a far credere che la croce rientrava in realtà in un misterioso progetto salvifico che dio-padre aveva per l’umanità intera.
Cristo è morto in croce perché non poteva che morire così; il movimento nazareno non ha responsabilità alcuna di questa morte; essa è servita per far capire agli ebrei che il loro primato storico, etico e politico, era finito e che d’ora in avanti essi sarebbero stati uguali ai pagani, avendo il compito di accettare il Cristo non come liberatore politico nazionale ma come redentore morale universale.
Questo per dire che ogniqualvolta s’incontrano, nei vangeli, dei racconti fantastici, lì va vista una sorta di mistificazione spiritualistica di un evento realmente accaduto, che quasi sicuramente aveva una connotazione politica. La religione, che è misticismo, magia, fede in cose sovrannaturali, viene usata proprio per falsificare delle vicende che sarebbero risultate nocive agli interessi della comunità cristiana post-pasquale, in quanto ne avrebbero messo in luce degli aspetti spiacevoli.
In altre parole, gli evangelisti non ebbero soltanto la preoccupazione (ad extra) di dimostrare alle autorità romane che i cristiani non andavano considerati politicamente pericolosi, ma anche quella (ab intra) di celare agli stessi seguaci del Cristo la pusillanimità che i nazareni avevano dimostrato nel momento decisivo dell’insurrezione armata.